Quanto vale l’economia sociale in Italia? Associazioni, cooperative, mutue, fondazioni e altre istituzioni nonprofit contribuiscono all’economia italiana con un valore aggiunto di oltre 49 miliardi di euro, il 3,4% del totale (6,7% sulla sola economia privata). Quasi un addetto su 10 del privato è impiegato in un’organizzazione dell’economia sociale, una proporzione che sale a oltre il 60% nei settori dell’istruzione e al 45,1% in quello della sanità e dell’assistenza sociale. E ancora, dal 2015 al 2017, le istituzioni dell’economia sociale sono aumentate di numero (+4,2) e hanno assunto più persone (+3,5%). Sono queste le evidenze principali del primo rapporto Euricse-Istat sull’economia sociale
Quasi 380mila organizzazioni
Entro i confini dell’economia sociale in Italia si muovono quasi 380 mila organizzazioni per un valore aggiunto complessivo di oltre 49 miliardi di euro, 1,52 milioni di addetti. Questi salgono rispettivamente a 51,8 miliardi di euro e a 1,58 milioni includendo anche le controllate dei gruppi cooperativi e più di 5,5 milioni di volontari. Tre su quattro delle organizzazioni sono costituite in forma di associazione; ma sono le cooperative a impiegare oltre i tre quarti degli addetti e a contribuire maggiormente al valore aggiunto, con una quota vicina al 60%.
Gli ambiti
Le organizzazioni dell’economia sociale sono più numerose negli ambiti delle attività artistiche, sportive e di intrattenimento (37%), ma i settori più rilevanti dal punto di vista economico e dell’occupazione sono quelli dell’istruzione – con una quota in termini sia di valore aggiunto che di addetti che nel comparto privato supera il 60% – e della sanità e dell’assistenza sociale (35,9% del valore aggiunto, 45,1% degli addetti sempre del settore privato).
Lombardia leader
A livello geografico, è la Lombardia ad avere una maggiore concentrazione di organizzazioni dell’economia sociale, oltre il 15% di tutto il Paese con il 22% del valore aggiunto. Se si guarda al contributo economico, in seconda posizione c’è l’Emilia-Romagna, con l’8% delle organizzazioni e il 15% del valore aggiunto. L’85,5% delle istituzioni dell’economia sociale è finanziata da fonti private. Le organizzazioni della sanità che si appoggiano invece per la metà dei loro introiti alla pubblica amministrazione. I dipendenti di associazioni, cooperative, mutue, fondazioni e altre istituzioni nonprofit sono in maggioranza donne (57,2%); in media hanno un livello di istruzione superiore dei colleghi che lavorano nelle altre imprese: la percentuale di laureati è infatti del 21,4% contro il 14,6% di chi lavora nelle imprese tradizionali.
La tipologia di lavoro
Molto diffuso è il part-time. Il 45,9% dei dipendenti delle organizzazioni di economia sociale è a tempo parziale contro il 26,8% delle altre imprese; un’incidenza che può essere spiegata con il maggior peso della componente femminile e la concentrazione in determinate categorie economiche. Tra il 2015 e il 2017 il numero di organizzazioni dell’economia sociale è aumentato del 4,2%, così come è cresciuto il numero di dipendenti (+3,5%). La crescita numerica maggiore si è registrata nel Sud. In testa c’è il Molise (+14,1%) mentre, guardando ai settori di attività, l’aumento più sensibile è nell’ambito dell’istruzione (+16,2%) e della cultura e sport (+13,6%).
Focus settoriali
L’ultima parte del rapporto è dedicata a focus settoriali su sanità e assistenza sociale, istruzione e formazione, cultura, sport e ricreazione; l’analisi evidenzia che il processo di policy making a livello degli enti territoriali e locali ha prodotto un welfare a geometria variabile. A cambiare è l’apporto di amministrazioni locali, mercato ed economia sociale e che restituisce una rappresentazione di quest’ultima che va oltre la tradizionale separazione tra Nord e Sud del Paese.