Nada “scrive” alla bambina che non voleva cantare
(foto di Max Intrisano)

Sembra ieri che ho ascoltato dieci anni fa Nada Malanima cantare “Amore disperato” sul palco del Teatro comunale di Carpi alla “Festa del racconto”, io leggevo l’incipit di un romanzo di Paolo Volponi, “Le mosche del capitale”, e insieme all’artista livornese cantavano anche “Le luci della centrale elettrica”, “Mariposa” e “Tre allegri ragazzi morti”. Lei è arrivata sul palco gioiosa, piena di energia, saltellante negli anfibi, con la sua voce fascinosa e inconfondibilmente rock dal timbro personalissimo. Non era più una ragazzina, ma era anche una ragazzina, piena di vitalismo ondeggiava la testa coi lunghi e folti capelli che a tratti le coprivano il viso.

Qualcosa di poetico

Al telefono, oggi, ha invece una voce pacata di donna matura, una che di lettere nella sua vita non ne ha scritte molte perché catapultata a quattordici anni nel mondo della canzone. “Ho cominciato da ragazzina a fare questo lavoro, sì all’inizio arrivavano quelle dei fan, oppure nell’età dell’adolescenza scrivevo biglietti, lettere più ingenue”. Quelle corrispondenze però si sono trasferite più tardi nei libri che ha pubblicato, sono quelle della finzione: “è molto bella la parola lettera» dice ancora, «ne è piena la letteratura, rimane nel tempo come qualcosa di poetico, nei pochi libri che ho scritto faccio scrivere delle lettere ai personaggi che invento, come in “Leonida”, anche ne “La grande casa” ci sono scambi di lettere, di richieste, tra i personaggi”.

La vita che cambia

Ma una di quelle misteriose corrispondenze riesce nell’estate del 1968 a cambiarle la vita. Ne scrive nel memoir “Il mio cuore umano”, dal quale un’altra artista straordinaria, la regista Costanza Quatriglio, ha tratto il film “La bambina che non voleva cantare”: “Una mattina arrivò in casa il postino a portarci una lettera raccomandata. Era indirizzata a mia madre. Raramente ricevevamo della posta. Qualche cartolina di qualche amica di mia sorella in vacanza, le bollette della luce”. È l’impresario Otello Rubieri che scrive: “Cara signora, spero si ricordi di me. Sono quel signore che le ha chiesto l’indirizzo quella sera a Torre del Lago dopo aver sentito cantare sua figlia. Presto la verrò a trovare. Ho intenzione di portare sua figlia a Roma per un’audizione”. Sono tutti contenti in famiglia, “E io?” si chiede Nada, “io ero disperata” si risponde. Nel film questa lettera è un elemento importante, “ma come ho scritto nel libro”, avverte, “non ci tenevo a fare quello che ho fatto nella mia vita, l’ho vista come un’imposizione, l’avrei strappata quella lettera. L’anno dopo sono andata a Roma, non ho avuto una vita da adolescente, ero talmente presa dalle responsabilità”.

Il debutto a Sanremo

Nel 1969 Nada, a quindici anni, debutta a Sanremo con “Ma che freddo fa”, festival che vincerà nel 1971 con “Il cuore è uno zingaro”, inizia una lunga carriera da interprete costellata di successi, poi l’incontro con il conterraneo Piero Ciampi, uno dei padri della canzone d’autore, e il cambio di passo, la sua seconda vita da cantautrice e scrittrice di romanzi. Ma c’è un epistolario che ormai fa parte della sua sfera intima, le “Lettere” della poetessa americana Emily Dickinson, che tiene sul comodino per “leggerne qualcuna di tanto in tanto”, lettere che le danno serenità. “Mi rasserenano» dice, «anche se parlano di cose tragiche, di morte, che lei vede nella natura, nelle persone, nella vita, ma è tutto così naturale che tu alla fine lo accetti, è un privilegio leggerle”, dice ancora, come se si spiasse così in quelle pagine la vita intima e segreta di un’altra persona.