La pandemia ha rimesso la formazione al centro del villaggio, facendo emergere la necessità di nuove competenze e la ricerca di nuovi equilibri. Ne è convinto Maurizio Milan, presidente di AIF – Associazione Italiana Formatori, che racconta il mondo della formazione da un osservatorio privilegiato.
In questo anno e mezzo di pandemia le aziende hanno dovuto adattarsi a nuove modalità di lavoro e a una naturale accelerazione dei processi digitali. Parallelamente, la formazione interna ha dovuto cambiare pelle: quali sono gli aspetti principali di questa rivoluzione?
“L’aspetto principale emerso in questo periodo di emergenza sanitaria è stato il cambio a 360 gradi dei processi di fruizione della formazione. Dall’erogazione in modalità phygital (fisica e digitale), siamo passati a un modello di formazione totalmente digitale: cambiando in poche settimane l’impostazione delle dinamiche d’apprendimento di valutazione e d’interazione. Le competenze acquisite nel passato, l’esperienza maturata non sono state sufficienti per affrontare i cambiamenti in atto e di conseguenza apprendere, disapprendere e riapprendere in modo continuo può essere definito il nuovo paradigma per affrontare la pervasività dei processi digitali che stanno definendo nuovi contesti e nuovi linguaggi”.
Molti percorsi formativi sono stati dedicati allo sviluppo delle competenze per affrontare i cambi impressi dalla pandemia. Quali sono gli aspetti più critici e chi ne è uscito o ne uscirà “vincitore”?
“L’aspetto più critico è di natura culturale: il Covid ha stravolto, oltre che la modalità, anche l’approccio mentale alla formazione. Eravamo abituati a considerare la formazione come un processo svolto all’interno di un contesto fisico, relegando all’online solo per l’aggiornamento delle competenze tecniche. In questi mesi invece, grazie all’introduzione in molte aziende di piattaforme di adaptive learning più vicine alle singole esigenze dell’utente, anche i programmi per lo sviluppo delle abilità personali (soft-skills) si sono dimostrati molto utili per il supporto alle persone nel trovare un nuovo equilibrio lavorativo in un contesto così turbolento. A uscirne vincitrice direi che è stata proprio la cultural change, che si è manifestata fin da subito attraverso nuove skills da imparare, nuovi processi da sviluppare, nuove abitudini da assimilare e vecchie certezze da superare. L’importante è vivere questo cambiamento non come variabile da gestire ma come sfida costruttiva e opportunità di miglioramento personale e organizzativo”.
È cambiato anche il ruolo delle persone?
“Certo, è uno dei punti nodali di questo cambiamento e ha trasformato la persona in quello che oggi viene definito knowledge prosumer: il consumatore della formazione è diventato anche produttore dei contenuti. Le persone assumono un ruolo centrale nell’apprendimento in quanto è per mezzo del confronto che creano, condividono, selezionano le informazioni più utili allo sviluppo delle nuove conoscenze. Questo è un concetto che ben si incardina nel periodo che stiamo vivendo: i dipendenti delle aziende sono costantemente immersi in un ecosistema mutevole che richiede un apprendimento continuo. L’apprendimento è sempre un fenomeno sociale in cui l’esperienza è uno dei pilastri: se c’è esperienza c’è apprendimento, quando manca siamo di fronte a processi di informazione e non di formazione”.
A livello umano, quali sono le competenze più importanti da “tirare fuori” dopo l’emergenza sanitaria?
“La “letteratura” delle competenze è uscita ribaltata dal periodo di emergenza. Prima del Covid, ci si concentrava sul pensiero critico, le capacità multitasking, l’intelligenza emotiva, la capacità di comunicare efficace. Tutti aspetti che restano fondamentali ma che sono stati affiancati da altri punti prioritari come la flessibilità, la capacità di adattarsi a un mix di contesto sempre più fisico-virtuale, così come la capacità di gestione delle persone a distanza e quella di risolvere i problemi che sorgono dagli imprevisti. In sintesi, è diventata essenziale la capacità di organizzare e riorganizzare anche di fronte alla rottura di uno schema abituale”.
Molte realtà industriali ed economiche non si sono mai fermate neanche durante il lockdown. È emersa la necessità di imparare sul campo, cosa significa per una azienda come Poste?
“In generale, abbiamo preso tutti la consapevolezza che il mondo del lavoro non sarà più quello di qualche mese fa, sia nella forma sia nei suoi processi. Si può affermare che la possibilità di lavorare attraverso nuove modalità, più flessibili e agili, era già presente, ma abitudine e diffidenza nei confronti delle tecnologie ne avevano rallentato la sperimentazione. La pandemia ha dato una veloce accelerazione a tutto questo in quanto ha costretto l’organizzazione a rivoluzionare completamente processi gestionali e operativi dando un ruolo centrale alla formazione delle persone. Una formazione che ha dovuto considerare fin da subito i diversi livelli di complessità, connessione e velocità richiesti alle aziende. Per questo l’apprendimento è divenuto total learning: ossia non un evento puntuale, bensì un’esperienza immersiva, interfunzionale e aperta richiedendo alla persona un ruolo dinamico in cui il confine tra lavoro e apprendimento è diventato sempre più labile. Per un’azienda come Poste Italiane che, per importanza strategica e per numero di dipendenti, rappresenta uno dei pilastri del sistema economico italiano ha significato dotarsi di approcci formativi che consentono di creare una “comunità informale di apprendimento” basata sulla partecipazione attiva e condivisione. L’altro elemento su cui Poste Italiane da tempo sta investendo è la visione di una progettualità didattica “just-in-time” dove strumenti come webinar, gamification, mooc e library digitali favoriscono un approccio più innovativo e partecipativo che definiamo di Smart Learning”.
L’open learning permette a ciascun membro dell’azienda di costruire un proprio percorso personalizzato. Ci sono criticità in questo approccio?
“Non si possono evidenziare particolari criticità quando è la persona ad adattare le sue competenze agli spazi e ai tempi dell’apprendimento. Il modello sviluppato attraverso il digital learning ha infatti destrutturato i modelli classici, lineari, solidi, separati nel tempo e nello spazio della vita organizzativa aprendo l’approccio ad una forma più “liquida della formazione” questo è il concetto che sta alla base della didattica digitale. Un elemento d’attenzione è però di tipo tecnologico, in quanto per sviluppare una didattica inclusiva e aperta l’elemento fondamentale è la piattaforma di e-learning che deve essere adattiva ai bisogni delle persone che possono formarsi con facilità e in autonomia”.
Come cambierà d’ora in poi la formazione nelle aziende?
“Oggi abbiamo consolidato la consapevolezza che l’apprendimento non è più cumulativo dove ogni nuova conoscenza si sommava alle precedenti e valorizzava il curriculum delle persone. Nel contesto attuale che procede per accelerazioni, salti, rotture e cambiamenti radicali ci troviamo di fronte alla necessità di attivare rapidi apprendimenti, lasciandoci alle spalle quelle abitudini e quei modelli consolidati nella nostra esperienza, sviluppando di conseguenza concetti come adattabilità, agilità e velocità. Un fenomeno emerso durante la pandemia e che sta prendendo una dimensione critica è la Digital Fatigue: questo è provocato da un eccesso di notifiche, da costanti interruzioni o interferenze nella comunicazione online che possono provocare nei partecipanti un senso di isolamento e inquietudine. È un fenomeno che non va sottovalutato”.
Poste ha sperimentato percorsi di formazione “a cascata”, individuando in una prima fase i profili più adatti di dipendenti in grado di formare colleghi anche di pari grado. Cosa pensa di questo modello di trasmissione della conoscenza?
“Possiamo affermare che con la pandemia si sta declinando nelle organizzazioni il concetto di “didattica della coesistenza” dove convivono attività formative tradizionali insieme a quelle innovative e dove all’evoluzione del ruolo formale del docente (learning architect) si affianca quello della diffusione della formazione tenuta direttamente dai knowledge holder (detentori della conoscenza). È un modello quest’ultimo molto efficace in quanto il contenuto della formazione rispecchia in pieno il contesto aziendale in cui si opera, c’è un maggiore coinvolgimento delle persone che abbattendo qualsiasi silos organizzativo mettono al centro condivisione e reciproca crescita. Trovo che sia una modalità importante per rafforzare l’approccio valoriale aperto che mette al centro e nella stessa direzione scopo economico coinvolgimento e crescita delle persone. Elementi quali esperienza professionale, inclusione, partecipazione, sapere ed essere capaci di decifrare il saper fare dell’organizzazione sono le caratteristiche alla base della modalità che Poste Italiane sta sviluppando all’interno dei propri programmi di sviluppo delle competenze. E questa modalità di formarsi insieme e tra colleghi evidenzia come il concetto di apprendimento nella sua azione è sempre presente nella nostra natura di esseri umani e possiamo quindi affermare che: Noi siamo apprendimento”.