Lettere nella storia: Antoine Saint-Exupéry, se l’uomo muore di sete

Lettera al signor X. Mai spedita ma scritta da Antoine Saint-Exupéry al generale René Chambe responsabile dell’informazione e propaganda in seno al Comitato francese di liberazione nazionale installato ad Algeri. È il giugno 1943. L’autore del Piccolo Principe era allora ancora pilota militare di ricognizione dopo aver passato un lungo tempo per il trasporto della posta aerea. Celebre tra i suoi scritti “Volo di notte” che narra eventi e pensieri che vivono nella mente di un poeta che sogna volando per lavoro e per passione.

Gli orrori del ’43

Lettere Antoine ne ha scritto tante e alle persone più diverse. Tutte scritte – anche quelle più brevi e di circostanza – con accenti che frugano, magari per un attimo o con una battuta, l’insondabile profondità dell’animo umano. Anno difficile il 1943 non meno che altri anni di quella Guerra Mondiale che a costo di milioni di morti, orrori e sofferenze, ha ridisegnato il mondo secondo i vincitori. E ancor oggi se ne sentono gli esiti in una condizione mutata che sente il bisogno di ripensare le coordinate dell’assetto internazionale. Oggi come allora non si è imboccata seriamente la via della pace.

Il significato spirituale

“Ogni lirismo – si legge nella missiva – ci pare ormai ridicolo, e gli uomini rifiutano di lasciarsi ridestare a una qualsiasi vita spirituale. Sembrano impegnati alla catena di montaggio, coscienziosamente, sì, ma senza guardare più in là. Come dice la gioventù americana: ‘Accettiamo a schiena dritta questo job ingrato’ […] E l’uomo, in quest’epoca, muore di sete. Ah, generale, dovremmo concentrare tutti gli sforzi per ridare agli uomini un significato spirituale. Delle inquietudini spirituali. Far piovere su di loro qualcosa che somigli a un canto gregoriano. Se avessi fede, stia pur certo che – superata quest’epoca di job necessario e ingrato – mi andrei a rinchiudere nell’abbazia di Solesmes. Non si può vivere solo di frigoriferi, di politica, di bilanci e di parole crociate. Non più. Non si può vivere senza poesia, senza colore e senza amore. Basta ascoltare un canto popolare del XV secolo per rendersi conto di quanto ci siamo spinti irreparabilmente troppo più in là. Non resta più nulla, se non la voce robotica della propaganda (mi perdoni). Due miliardi di uomini ascoltano il robot, capiscono soltanto il robot, diventano loro stessi dei robot. Tutti gli scricchiolii degli ultimi trent’anni non hanno che due origini: i guasti del sistema economico del XIX secolo e la disperazione spirituale… C’è una possibilità, una sola: tornare a scoprire che esiste una vita dello spirito che trascende quella dell’intelligenza ed è l’unica in grado di soddisfare davvero l’uomo. Non sto parlando della vita religiosa, che ne è soltanto una forma. E la vita dello spirito comincia là dove un essere è concepito al di sopra della materia che lo compone. L’amore per la propria casa – questo sconosciuto negli Stati Uniti – è già la vita dello spirito. E la festa di paese, e il culto dei defunti (ne parlo anche perché quando sono arrivato sono già morti almeno due paracadutisti, ma sono stati nascosti: non servivano più ad alcuno scopo). E non è un torto degli americani, è un problema dei nostri tempi: l’essere umano ha perso di significato. Bisogna assolutamente rimparare a parlare agli uomini”.