Lettere nella storia: il “basta” di Elena Cecchettin per superare il femminicidio

La pazienza delle donne sta arrivando a saturazione. Una prova inattesa ma convincente è venuta dalla marea di donne e uomini che hanno partecipato all’ultima Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. I cortei sono venuti sotto l’emozione per il femminicidio particolarmente efferato di Giulia Cecchettin di 22 anni per mano del fidanzato suo coetaneo. Lo sdegno e il rifiuto di una tale ferocia mascolina per affermare con la violenza l’assurda pretesa di limitare la libertà di una donna, considerata un oggetto di proprietà di cui disporne totalmente fino a ucciderla, ha innescato nel Paese una reazione dell’opinione pubblica specialmente femminile simile a un’eruzione vulcanica per lungo tempo covata e repressa.

Le parole di Elena

Il “basta” delle donne ha contagiato largamente pure gli uomini dando vita a un’indignazione incredibile con la richiesta di una legislazione capace finalmente di colmare le disparità tra uomini e donne che violano i principi stessi della Costituzione. Una lettera scritta da Elena Cecchettin, sorella maggiore di Giulia, al Corriere della Sera, è diventata un manifesto per porre fine all’insopportabile discriminazione nei confronti delle donne, senza fermarsi a sterili lamenti per una morte inaccettabile. La misura è colma, sembra constatare la lettera, ma lamentarsi non è sufficiente. Lo si è fatto tante altre volte e le donne continuano a morire. L’uccisione delle donne è un residuato barbarico che pone all’intero Paese una domanda ineludibile: che fare per uscire come Paese da questa arretratezza culturale maschilista? Sarà sufficiente piangere la vittima di turno e ricominciare la corrida della morte continuando a considerare le donne senza una propria soggettività? E come sbarazzarsi di questa “mentalità dello stupro” che purtroppo trova incentivo nel primitivo sistema patriarcale, substrato permanente della modernità dove tutto è cambiato salvo il riconoscere alle donne dignità e libertà pari agli uomini? La lettera di Elena di fronte al tanto dibattere ribadisce la sua speranza: che la morte della sorella non sia stata vana e che le istituzioni intervengano al più presto per fermare i femminicidi.

La responsabilità degli uomini

Filippo Turetta, assassino di Giulia “viene spesso definito come mostro, – si legge nella lettera – invece mostro non è. Un mostro è un’eccezione, una persona esterna alla società, una persona della quale la società non deve prendersi la responsabilità. E invece la responsabilità c’è. I ‘mostri’ non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro. La cultura dello stupro è ciò che legittima ogni comportamento che va a ledere la figura della donna, a partire dalle cose a cui talvolta non viene nemmeno data importanza ma che di importanza ne hanno eccome, come il controllo, la possessività, il catcalling. Ogni uomo viene privilegiato da questa cultura”. La critica durissima ha sempre un obiettivo di guarigione e liberazione degli uomini invitati a contrastare attivamente misoginia e sessismo. “Viene spesso detto ‘non tutti gli uomini’. Tutti gli uomini no, ma sono sempre uomini. Nessun uomo è buono precisa la giovane se non fa nulla per smantellare la società che li privilegia tanto. È responsabilità degli uomini in questa società patriarcale, dato il loro privilegio e il loro potere, educare e richiamare amici e colleghi non appena sentano il minimo accenno di violenza sessista. Ditelo a quell’amico che controlla la propria ragazza, ditelo a quel collega che fa catcalling alle passanti, rendetevi ostili a comportamenti del genere accettati dalla società, che non sono altro che il preludio del femminicidio”.

La rabbia e il dolore

E poi un appello allo Stato per promuovere un insieme di provvedimenti che comportano una rivoluzione culturale se davvero si vuole garantire la tutela delle donne. “Il femminicidio non è un delitto passionale, è un delitto di potere. Serve un’educazione sessuale e affettiva capillare, serve insegnare che l’amore non è possesso. Bisogna finanziare i centri antiviolenza e bisogna dare la possibilità di chiedere aiuto a chi ne ha bisogno. Per Giulia non fate un minuto di silenzio, per Giulia bruciate tutto”. Questa lettera era stata preceduta da un’altra più intima e toccante di Elena alla sorella morta ammazzata. “Questa casa, che fino a poco più di un anno fa era troppo piccola, ora sembra così vuota, così grande e spenta… Così grande la rabbia come il dolore nel realizzare che la tua assenza, la tua morte, sono state causate da un individuo… che non è stato educato al consenso, al rispetto e alla libertà di scelta. Affinché nessuno più debba sentire il vuoto che sento io, il dolore lancinante che nel buio della mia camera sento incessantemente, dobbiamo reagire. Ci deve essere un cambiamento, una rivoluzione culturale, che insegni il rispetto, l’educazione, l’affettività. Che insegni ad accettare i no, che insegni che le donne non sono proprietà di nessuno”. Resteranno ancora una volta parole al vento? Forse no. Ma il cammino è lungo. Dopo la marea dei cortei i femminicidi non sono cessati.