Lettere nella storia: Primo Levi e la bambina

Il Giorno della memoria delle vittime dell’Olocausto, che si commemora il 27 gennaio, quest’anno avrà un sapore amaro rispetto ai precedenti. Gli eventi del conflitto in corso tra Israele e Palestina suscitano dubbi inquietanti. La guerra – come ripete papa Francesco – è sempre una sconfitta per tutti, vincitori e vinti. All’origine immediata della distruzione di Gaza c’è un precedente atto di terrorismo deprecabile di Hamas, ma la pervicace tentazione distruttiva di dare a un popolo senza patria una lezione che meriterebbero solo i terroristi responsabili dell’eccidio del 7 ottobre ha seminato dubbi, angoscia, passioni odiose e contrastanti nei due fronti della guerra di Gaza.

Se questo è un uomo

Israele è stato accusato di genocidio davanti alla Corte Internazionale dell’Aia. Le diplomazie sono in confusione e prevale il diritto della forza. Si materializza l’ombra dell’impossibile: che le vittime di un tempo si trasformino in carnefici. Quel che rammarica oltremodo è la conta delle vittime innocenti nel conflitto, gli ostaggi e i bambini uccisi a migliaia. Si ha la sgradevole sensazione che in pericolo sia il senso di umanità che dovrebbe venire prima di ogni interesse. E, purtroppo, anche in Israele gli integralisti sembrano al momento prevalere. La voce di persone di alto profilo morale viene silenziata, sovrastata dai fomentatori e sostenitori dell’odio che scambiano per giustizia la vendetta. Si sente il bisogno di persone come Primo Levi. Viene alla mente, in proposito, una sua lettera del 1983 in risposta a una bambina di 11 anni che gli chiedeva di spiegarle l’olocausto. La lettera è rimasta dimenticata tra le cose di casa della piccola destinataria, Monica Perosino, fino a quando venne ritrovata in occasione di un trasloco.

Lo scambio di lettere

La risposta di Levi resta attuale anche oggi per suggerire pensieri di pace e di umanità. “A 11 anni, nel 1983 – scriveva la Perosino nel 2015 sul quotidiano la Stampa – avevo appena finito di leggere Se questo è un uomo. L’avevo letto durante le vacanze di Natale, e riletto pochi giorni dopo l’Epifania. Ma restavano domande senza risposta: esiste la malvagità?… Così, spinta dalla logica senza curve di un’undicenne, mi parve ovvio andare alla fonte. Cercai l’indirizzo di Primo Levi sulla guida del telefono per chiedere direttamente a lui: perché nessuno ha fatto niente per fermare lo sterminio? I tedeschi erano cattivi? Nemmeno per un attimo pensai che stavo scrivendo allo scrittore di fama planetaria. Per me era ‘solo’ Primo Levi e il suo libro era anche un po’ mio. Chiedere conto a lui mi parve la cosa più naturale del mondo. Lui doveva sapere per forza. Presi la mia carta da lettere preferita, zeppa di fiori e pupazzi, e scrissi una paginetta di lettere tozze. Già che c’ero lo invitai nella mia scuola. La risposta arrivò, datata 25 aprile, e non colsi subito la coincidenza fino in fondo. Il concetto di ‘ignoranza volontaria’ non era la spiegazione che mi aspettavo. Io volevo sapere se il male esisteva. Smisi di rileggere la lettera tre anni dopo, l’11 aprile 1987, quando trovarono il corpo di Primo Levi nella tromba delle scale. Ero rimasta senza l’uomo che avrebbe potuto darmi spiegazioni. La lettera finì in un cassetto, assieme ad altre. Ora, 32 anni dopo, è rispuntata durante un trasloco, con tutte le sue risposte”.

La risposta di Primo Levi

“Cara Monica – scriveva Primo Levi in data 5 aprile 1983 – la domanda che mi poni, sulla crudeltà dei tedeschi, ha dato molto filo da torcere agli storici. A mio parere, sarebbe assurdo accusare tutti i tedeschi di allora; ed è ancora più assurdo coinvolgere nell’accusa i tedeschi di oggi. È però certo che una grande maggioranza del popolo tedesco ha accettato Hitler, ha votato per lui, lo ha approvato e applaudito, finché ha avuto successi politici e militari; eppure, molti tedeschi, direttamente o indirettamente, avevano pur dovuto sapere cosa avveniva, non solo nei Lager, ma in tutti i territori occupati, e specialmente in Europa Orientale. Perciò, piuttosto che di crudeltà, accuserei i tedeschi di allora di egoismo, di indifferenza, e soprattutto di ignoranza volontaria, perché chi voleva veramente conoscere la verità poteva conoscerla, e farla conoscere, anche senza correre eccessivi rischi. La cosa più brutta vista in un lager credo sia proprio la selezione che ho descritta nel libro che conosci. Ti ringrazio per avermi scritto e per l’invito a venire nella tua scuola, ma in questo periodo sono molto occupato, e mi sarebbe impossibile accettare. Ti saluto con affetto”. Il monito a conoscere, interrogarsi e a non restare indifferenti di fronte all’ingiustizia e alla sofferenza vale ancora oggi. Potrebbe essere la prima pietra per tornare finalmente a costruire insieme la pace anche nel tormentato Medio Oriente. Se non si ascolta l’altro, la distruzione reciproca non ha misura.