Il 19 febbraio 2023 Massimo Troisi avrebbe compiuto 70 anni, se la malattia non lo avesse sottratto ai tanti che lo amavano il 4 giugno del 1994, quando di anni ne aveva appena 41. Per sempre giovane nell’immaginario, l’attore e regista di San Giorgio a Cremano è per sempre legato alla sua ultima interpretazione nel film-capolavoro “Il postino” diretto da Michael Radford e interpretato insieme a Maria Grazia Cucinotta. Troisi si impegnò a portare avanti questo progetto, nonostante le condizioni fisiche che divennero sempre più compromesse proprio durante le riprese. Ed ebbe ragione: “Troisi dà al suo personaggio una verità e una semplicità che significa tutto”, scrisse il New York Times. Purtroppo, Massimo non fece in tempo a godersi quel successo internazionale. Osannato dalla critica in tutto il mondo, vincitore di un premio Oscar per la colonna sonora di Luis Bacalov, “Il postino” viene celebrato fino al 13 marzo al Museo Archeologico di Napoli nella mostra “Il Postino dietro le quinte. I volti di Massimo Troisi”. Tra i pezzi pregiati dell’esposizione la bicicletta con cui Mario Ruoppolo, il giovane figlio di un pescatore vedovo, portava la corrispondenza al poeta e intellettuale cileno Pablo Neruda, perseguitato nel suo Paese e rifugiato su una splendida isola del sud Italia.
La carriera di Massimo Troisi
Insieme agli amici del gruppo teatrale “RH-Negativo” (poi ribattezzato “I Saraceni”) Lello Arena ed Enzo Decaro Troisi cominciò ad avere i primi veri successi. Il gruppo cambiò ancora nome (“La smorfia”) ed è con questi compagni di viaggio che Massimo Troisi sbarcò in televisione nel 1977 con “No stop”, intuizione anti-narrativa nel panorama degli show di quegli anni firmata da Bruno Voglino insieme a Giancarlo Magalli e al regista Enzo Trapani. Allo sciogliersi del sodalizio, nel 1981, l’eterno bambino era già una star col suo parlare strascicato, la calzamaglia nera, la follia quasi surrealista dell’improvvisazione. Scommise su di lui il produttore Mauro Berardi in un momento di stanca del cinema italiano: nel giro di un anno, con la complicità di Anna Pavignano – che divenne la sua compagna – e di Vincenzo Cerami, realizzò il suo primo film, “Ricomincio da tre”. Girato in 6 settimane con un budget di 400 milioni di lire, uscì nelle sale italiane il 12 marzo 1981 e conquistò immediatamente il pubblico (14 miliardi di lire al botteghino), tanto che una sala di un cinema di Porta Pia, a Roma, tenne in cartellone lo spettacolo per più di seicento giorni. Vennero anche i riconoscimenti: due David di Donatello, tre Nastri d’argento, due Globi d’oro della stampa estera.
Tra televisione e cinema
Tra televisione e cinema (apparve come attore in “No grazie, il caffè mi rende nervoso” e diresse il paradossale quanto profetico “Morto Troisi, viva Troisi”) era una oramai star corteggiata e assunto nell’empireo partenopeo a fianco di Eduardo e Totò. Anche così si spiega il suo ritorno dietro la macchina da presa solo nel 1983 – quando tutti premevano perché cavalcasse il successo dell’esordio – con le timide scuse di “Scusate il ritardo”, a cui è dedicato anche un francobollo del 1996 con il volto dell’attore. Da allora avrebbe diretto appena quattro film in dieci anni, anche se “Non ci resta che piangere” è firmato insieme a Roberto Benigni e “Il postino” vede Michael Radford accreditato come regista. Nove le apparizioni da attore (inclusi i suoi film) tra cui meritano menzione soprattutto le tre sotto la guida di un inatteso “fratello maggiore” come Ettore Scola che costruì su di lui un vero gioiello come “Che ora è” (in coppia con Mastroianni) e “Il viaggio di Capitan Fracassa” per riportarlo ai fasti della commedia dell’arte.
Il Postino: una scelta d’amore
La scelta di interpretare “Il postino” (che aveva intensamente voluto dal romanzo del cileno Antonio Skarmeta), fu un gigantesco atto d’amore per l’arte e per quel personaggio: Troisi sapeva di stare ormai molto male e che doveva sottoporsi a un nuovo intervento al cuore. Rimandò quell’appuntamento oltre ogni limite per finire il film “con il suo cuore”. Fu la fatica a stroncarlo, ma in questo modo trasportava se stesso in un’altra dimensione: la stessa che oggi ci permette di ricordarlo come un “fool” scespiriano, un folletto che resta sempre presente nell’immaginario popolare.