Roma, 20 giu – “E’ tempo di avviare una nuova revisione della spesa, che inizi oggi e finisca con la legislatura, estesa anche agli enti territoriali”. E’ la richiesta avanzata dagli esperti del Centro studi di Confindustria dopo la raccomandazione della Commissione Ue al Consiglio europeo di avviare una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia. Secondo gli economisti la spesa pubblica aggredibile, cioè quella che potrebbe essere sottoposta a revisione, ammonta a circa 290 miliardi di euro, dagli 850 miliardi di euro di spesa totale.

Il coordinamento, secondo il Csc, “dovrebbe essere affidato alla presidenza del Consiglio con un sottosegretario ad hoc per dare un forte input politico”.

“Si tratta finalmente – spiegano – di impostare un approccio di tipo generale e replicabile, che modifichi radicalmente le modalità di definizione dei programmi di spesa pubblica e il loro monitoraggio. Un investimento organizzativo e metodologico di questo tipo ha infatti senso se mira alla costruzione di un approccio permanente, piuttosto che ad un esercizio di valutazione una tantum”.

Secondo il Cs “è impossibile far fronte nel breve periodo ai tanti obiettivi del governo: non aumentare l’Iva, non tassare i patrimoni, sostenere le fasce deboli, tagliare massicciamente le aliquote fiscali sui redditi delle persone fisiche (flat tax)”. Tuttavia, sostengono, “nel medio periodo si possono però creare gli spazi per alcune riforme se si avvia una vera revisione della spesa, fatta non solo di tagli ma di riforme dei meccanismi di formazione della spesa pubblica”.

Gli economisti mettono in evidenza che “nonostante le buone intenzioni, però, non è stata intrapresa finora alcuna iniziativa. Anzi, contrariamente agli anni precedenti, non è stato ancora avviato il processo di revisione della spesa”.
Inoltre, la nomina dei due viceministri del ministero dell’Economia, Laura Castelli e Massimo Garavaglia, a Commissari alla spending review, è stata revocata. Quindi al momento la revisione della spesa è completamente ferma.

Secondo il Csc “fissati obiettivi quantificabili e verificabili ex-post e condivisi questi con cittadini e imprese, una delivery unit, a cui riportano dei team specializzati, si dovrebbe dettagliare la metodologia in un apposito manuale in modo da consentire l’applicazione di pratiche uniformi. Per superare le resistenze, un sistema di incentivi ai singoli funzionari e alle amministrazioni coinvolte e necessario”.

Per gli esperti del Centro studi di Confindustria, alcune voci di spesa dovrebbero non essere essere oggetto di revisione. Tra queste, la spesa in conto capitale. Tale spesa è stata particolarmente sacrificata: a fine 2018 è ancora di 21 punti percentuali inferiore a quella del 2007. Naturalmente, in un’ottica di efficientamento della spesa, anche quella in conto capitale “andrebbe valutata attentamente. La spesa per interessi si riduce se migliora il clima di fiducia sulla situazione economica del Paese, ma non può essere oggetto di una revisione”.

Anche la spesa per pensioni andrebbe esclusa “perché è legata a diritti acquisiti e alle dinamiche demografiche”. In ultimo, la spesa per stipendi pubblici è una voce su cui “non sembra prioritario intervenire visto che è rimasta ferma per diversi anni a seguito del blocco dei rinnovi contrattuali dal 2012 al 2016 e delle limitazioni sul turnover. In molti casi, gli importi unitari degli stipendi sono ben al di sotto delle medie europee”.