Roma, 7 ott – L’Italia è in bilico tra ripresa e recessione. Il Centro Studi Confindustria conferma la sostanziale stagnazione dell’economia italiana, già delineata nelle previsioni di primavera. Nel 2019 il Pil sarà pari a zero mentre nel 2020, se l’aumento delle imposte indirette venisse annullato e finanziato interamente a deficit, il Pil crescerebbe dello 0,4% ma il rapporto deficit/Pil sarebbe pericolosamente vicino al 3%. Previsioni, dunque, meno ottimistiche rispetto a quelle del governo che, nella nota di aggiornamento al Def, stima una crescita dello 0,6% per l’anno prossimo e un rapporto deficit Pil al 2,2%.

Secondo il Csc, “più che in passato, molto dipenderà dalle scelte di politica economica e in particolare da come il Parlamento italiano modificherà l’attuale legislazione, che prevede un aumento dell’Iva e delle accise per 23,1 miliardi di euro a partire dal 1 gennaio 2020”. In uno scenario a politiche invariate, il Pil, nelle previsioni del Csc, rimarrà fermo non solo nel 2019 ma anche nel 2020.

L’economia italiana, quindi, è ancora “sulla soglia della crescita zero, rischiando di cadere in recessione a fronte di eventuali nuovi shock, che soprattutto dal fronte estero sono sempre possibili, come mostra l’elevatissimo grado di incertezza oggi presente sui mercati”. Diversi fattori hanno frenato nel corso di quest’anno l’economia italiana e continueranno presumibilmente a pesare negativamente sulla crescita.

Primo, vi è un minor apporto ai consumi delle famiglie da parte del Reddito di cittadinanza (Rdc); le domande pervenute sono state molto inferiori alle attese e “si avranno alla fine di quest’anno 200mila nuclei beneficiari in meno”. Secondo, il rallentamento in Germania è più profondo e duraturo di quanto atteso; le difficoltà tedesche, specie nel settore automotive, hanno avuto ricadute importanti sulla produzione dell’industria italiana per i forti legami tra le manifatture dei due paesi; incidono anche sulle esportazioni italiane, sebbene nell’ultimo anno queste abbiano fatto meglio, per una serie di fattori settoriali e geografici analizzati più avanti. Terzo, la fiducia in Italia è “su livelli molto ridotti, spingendo imprese e famiglie a una gestione più parsimoniosa dei propri bilanci”; la flessione è stata più marcata per le imprese manifatturiere che tra le famiglie; la ricostituzione della fiducia è un fattore cruciale per creare le condizioni per la crescita. Quarto, sarebbe significativo l’impatto di un aumento dell’Iva delle dimensioni oggi previste dalla legge; questo, infatti, per il Csc, “genera effetti negativi sulla spesa delle famiglie e sugli investimenti privati perché, nella realistica ipotesi di una traslazione parziale sui prezzi finali, si traduce in un’erosione sia del reddito disponibile sia dei margini delle imprese”.