Nelle classifiche specializzate, Poste Italiane figura molto spesso ai primi posti tra le aziende in relazione al work-life balance (equilibrio vita-lavoro). Un fattore fondamentale per i dipendenti, che determina in buona parte la felicità dell’individuo, che vede ben distribuito il tempo al lavoro e quello dedicato ai propri affetti e alle proprie passioni e naturalmente al relax. La filosofa Roberta De Monticelli, in un’intervista rilasciata a Postenews, spiega quanto sia importante essere felici al lavoro e quanto ciò influisca sulla totalità delle nostre relazioni sociali e affettive.
Professoressa De Monticelli, al di là delle buone pratiche, quale approccio dovrebbe avere ognuno di noi sul lavoro?
“Essere felici al lavoro: un programma ambizioso. Prendiamoci un po’ di tempo per riflettere sulla questione. Lavoro, anzitutto. Già è felice chi ce l’ha, in confronto con chi non ce l’ha, o non può contarvi che di tanto in tanto. Ecco quindi una prima condizione, almeno di serenità: che un lavoro offra ragionevoli prospettive di durata. Non necessariamente “il posto fisso”: questa idea rende fissa una società e fa stagnare tutto, perché la vita stessa è mutamento e una società aperta, economicamente sana, deve contemplare un alto tasso di rinnovamento. Purché non soltanto a spese di chi lavora. Non è dunque quello che uno fa, ma come lo fa a esprimere gli aspetti di una persona che sono un po’ come la sua vocazione, cioè lo stile e il tipo di bene che ciascun individuo è “chiamato” a portare al mondo. E poi c’è la parola “felicità” su cui riflettere. La si usa oggi correntemente nelle statistiche sociologiche, o addirittura come indice di un PIL di tipo nuovo, che includa il benessere delle persone. Felicità vuol dire altro e di più. Nel suo senso più profondo “felicità” sta a soddisfazione come il fine sta al mezzo, anzi come una condizione personale sta all’andamento quotidiano del vivere, con tutti i suoi alti e bassi. La condizione di felicità non è la contentezza perenne: è la condizione in cui ci si può permettere di soffrire senza perdere il senso di ciò che si fa”.
Una persona può essere felice dal venerdì sera al lunedì mattina? Oppure “siamo quello che facciamo” e quindi non possiamo prescindere dal nostro lavoro?
“Se la domanda fosse “può essere felice solo dal venerdì sera al lunedì mattina” risponderei decisamente di no, perché alcuni dei lavori più belli sono quelli che non conoscono proprio la differenza fra la settimana e il fine settimana. Non perché non conoscano il riposo ma perché non hanno feste comandate, hanno un tasso di libertà interna che prescinde dal conto delle ore, come accade a un pittore di non andare a dormire per notti di seguito, divorato dall’ispirazione, o a un matematico di non distinguere più l’ora e la stagione, perduto nei suoi sogni esatti. Per la maggior parte di noi, però, il riposo è cadenzato dai ritmi della settimana lavorativa. Le domeniche di una vita possono essere la sua parte di luce e creatività, che riverbera su tutti i giorni feriali. Che uno non sappia che fare fuori dall’orario di lavoro è solo il segno di una nevrosi ossessiva da cui non resta che sperare una guarigione”.