Lettere nella storia: Elizabeth Fry, umanizzare le carceri

Il carcere è privazione forzata della libertà e, dai tempi più antichi, anche violenza sociale più abietta verso la dignità umana, calpestata nei secoli passati fino all’inverosimile e in misura sproporzionata rispetto alla gravità della colpa. Si deve a tante persone di animo nobile la lotta paziente e convinta per rifondare i diritti umani anche nelle prigioni. L’attivo ed esteso volontariato odierno attento ai detenuti, molto deve a una donna, Elizabeth Fry che in Inghilterra e in altri Paesi, negli anni della traumatica transizione europea dalle guerre napoleoniche all’incubazione dei risorgimenti nazionali, sollevò l’urgenza di una riforma delle carceri allora in condizioni di terrificante degrado.

Forza interiore

Fin dalla sua prima visita con intenti caritatevoli al carcere femminile londinese di Newgate nel 1813 si rese conto dell’abbrutimento dei prigionieri e in particolare delle donne recluse. Proprio l’abiezione avvilente nel trattamento riservato alle persone rinchiuse e la condizione di estremo abbandono nei reparti, ridotti a caotiche stalle dove si faticava a distinguere tra l’uomo e la bestia, spinse Elizabeth Fry a farsi carico di un progetto di riforma da perorare a tutti i livelli delle istituzioni pubbliche. Dai minuti diari e dalle sue lettere si apprende la sua ansia per la famiglia (madre di 11 figli) e per i sofferenti, uomini e specialmente donne in carcere o nei manicomi. Verso la fine della sua vita (morì nel 1845) manifestò ancora la forza interiore che l’aveva sorretta nella lotta e nella costituzione di gruppi impegnati per il bene sociale. Pensò a scrivere in particolare alle donne che si erano associate alle sue opere filantropiche lasciando loro qualche consiglio.

La causa dei prigionieri

“Miei amatissimi amici – scrisse nella lettera Comitato della Ladies’ British Society – tra tanti dolori che mi è stato permesso di passare, e tante sofferenze fisiche, provo ancora un vivo e profondo interesse per la causa dei poveri prigionieri; e sincera è la mia preghiera affinché il Dio di ogni grazia possa essere molto vicino per aiutarti a essere risoluto nell’importante opera cristiana di cercare di convincere i poveri viandanti a tornare, pentirsi e vivere; affinché conoscano Cristo come loro Salvatore, Redentore e speranza di gloria. Possa lo Spirito Santo dirigere i vostri passi, rafforzare i vostri cuori e consentire a voi e a me di glorificare il nostro Santo Capo nel fare e soffrire fino alla fine; e quando giunge la fine, per l’amore e i meriti di un Salvatore, possiamo noi essere ricevuti nella gloria, nel riposo e nella pace eterni”. Si dedicò a migliorare le carceri con risoluto piglio manageriale e cuore pieno di umanità per l’intero ciclo penale che prevedeva allora anche la deportazione nel Nuovo Galles del Sud.

Vera riformatrice sociale

Le sue lettere coprono un’ampia gamma di argomenti, dalle notizie personali alla riforma carceraria. La sua corrispondenza riguarda in particolare l’educazione, l’istruzione religiosa e il trattamento delle donne e dei bambini detenuti. Senza nome la maggior parte dei destinatari. Elizabeth Fry aveva idee davvero innovative e controcorrente sulla percezione del suo tempo verso i carcerati. La sua gestione carceraria si basava su principi elaborati. In varie lettere alle commissioni di entrambe le Camere del Parlamento, e in rapporti privati, la signora Fry ha esposto questi principi e regole nel modo più completo e fattibili. Da vera riformatrice sociale sentiva infatti il bisogno di diffondere nei Paesi europei i principi e le esperienze verificate in patria.

Le visite al carcere

Le visite al carcere di Newgate furono determinanti per i rimedi da proporre e applicare come la divisione dei sessi tra i carcerati, la vigilanza affidata a donne per le sezioni femminili, l’istruzione, il lavoro che ancora oggi sono ambiti di attenzione e di iniziative sociali del volontariato e delle politiche riformiste. In una relazione seguita a una delle una delle sue visite scrisse: “Sono appena tornata da una visita infinitamente triste a Newgate dove mi sono recata su richiesta di Elizabeth Fricker, condannata per furto, prima della sua esecuzione prevista per domattina alle otto. L’ho trovata precipitosa, angosciata e tormentata… Non ho chiesto altro, avevo visto abbastanza”.