“Non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra disuguali”. È una delle più celebri frasi di Don Lorenzo Milani, tratta dalla “Lettera a una professoressa”. Mentre si discute con toni talvolta striduli sul merito a scuola e nella scuola, torna attuale anche un’altra lettera, antica tanto quanto il poeta latino Orazio, autore saggio, poeta mai fanatico, di bellissime Epistole pubblicate una ventina d’anni prima che nascesse Cristo. In una di questa Epistole in forma poetica – la seconda del Primo Libro per la precisione – Orazio usa un’espressione celebre poiché riassume, secondo Immanuel Kant, il senso vero dell’Illuminismo, pilastro della cultura moderna.
L’esortazione
L’Epistola di Orazio è indirizzata a Massimo Lollio. Uno scolaro, diremmo oggi, impegnato nella recita di soggetti riconducibili a Omero. Orazio rileva che lui, invece, Omero lo sta ripensando per attualizzarne il messaggio dell’Iliade e dell’Odissea. L’Odissea in particolare rileva le potenzialità dell’uomo quando segue virtù e conoscenza. È il verso 40 dell’Epistola che incanta la riflessione di Kant: “Chi comincia è già a metà dell’opera. Orsù dunque: sii saggio, comincia”. In latino l’esortazione suona così: “Sàpere àude”. Intorno a queste due paroline sorge il grande edificio filosofico di Kant. “L’Illuminismo – egli scrive – è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità di cui egli stesso è colpevole. Minorità è l’incapacità di servirsi della propria intelligenza senza la guida di un altro. Colpevole di questa minorità, se la sua causa non dipende da un difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi di essa senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! Questo dunque è il motto dell’Illuminismo”.
Cittadini consapevoli
Ragionare sul merito richiede, quindi, di sgombrare il campo da ideologie per mettersi al capezzale della scuola – sempre più in sofferenza – senza mai ridurla e manipolarla a campo di contese partitiche. È un ambito pedagogico dove è in gioco l’educazione dei giovani alle virtù e al sapere per renderli responsabili verso se stessi e verso gli altri. La scuola prepara cittadini consapevoli e tutti hanno diritto alle stesse possibilità. La dignità della persona viene prima del merito poiché ognuno la riceve in dono alla nascita. Tale dignità va rispettata, aiutata a divenire cosciente nel saper bilanciare libertà e uguaglianza, senza scordare la fraternità. A questo deve tendere la scuola con cura di tutti, esigendo di più da chi ha più talenti. Infatti, tutti abbiamo medesima dignità, ma non uguali talenti. Che sono pur essi alla partenza un dono e non un merito. Il merito non può essere una precondizione per disparità di trattamento discriminatorio, ma piuttosto un giusto riconoscimento all’impiego dei talenti. Se così non accade, il dibattito sul merito può celare un inconfessato residuato discriminatorio sulla dignità.
L’importanza del filosofare
La scuola deve portare i giovani non solo a imparare la filosofia – direbbe Kant – ma a filosofare; non tanto le nozioni, ma l’attitudine a pensare. Il pensiero è infatti il conduttore della creatività e della libertà. Imparare a camminare da solo non punta all’anarchia quanto, piuttosto, alla responsabilità di saper pensare che porta a un servizio attivo alla cittadinanza. C’è consonanza tra Kant e Orazio che nella stessa Epistola ci lascia formule del genere: “Palazzi e campagne, a chi sempre abbia la mente in tumulto e voglia e non voglia, servono quanto un quadro serve a un cieco… Comincia adesso ragazzo, col cuore tuo puro a far tue le parole che ascolti, a rimetterti ai migliori di te… Se poi resti indietro o troppo smanioso m’avanzi, io non sono chi aspetta chi è lento o incalza i più veloci di me”. Il giusto mezzo a Orazio non dispiace. Le Lettere nascondono spesso verità e saggezza che potrebbero attenuare l’arroganza di pubbliche contese.