L’altra figlia. Quando si comincia a leggere questa Lettera – stupenda narrazione di un’esperienza infantile che attraversa come morsi dell’anima l’intera vita dell’autrice segnata dalla finzione tra genitori e figli – si pensa che si parli della sorella morta a sei anni, due anni prima che nascesse Annie Ernaux, premio Nobel Letteratura 2022. La sorpresa sta alla fine quando si scopre che in realtà “l’altra figlia – scrive l’autrice – sono io, quella che è fuggita lontano da loro, altrove”. “Loro” sono i genitori che per tutta la vita le hanno taciuta l’esistenza di una sorella morta bambina due anni prima della sua nascita. Una seconda figlia vissuta – a sua insaputa – dai genitori nell’invadente luce della prima. Non parlando della figlia perduta neanche quando era evidente che la figlia viva ormai sapesse della sorella morta.
Equilibrio interiore
La scoperta casuale, a 10 anni di età, carpendo in una domenica pomeriggio mentre giocava con un’amichetta la confidenza della madre a un’amica. La bimba continuò a giocare serena simulando di non aver sentito nulla delle parole della madre che, invece, l’avevano confusamente sconvolta, cambiando per sempre il suo equilibrio interiore. Nel ricordo la madre parlava della morta come di una santa e della viva come di una bambina troppo sbarazzina e vivace. Un vero trauma per la figlia trattata con i guanti come fosse una figlia unica, alla quale – compatibilmente con le possibilità economiche di due possidenti di una piccola drogheria di paese – si concede e permette tutto, nel timore di perderla come la prima, gelosamente custodita dal padre e dalla madre come un amore infranto che li ha incupiti per il resto della vita. È quell’apprendere casuale ma traumatico di non essere l’unica, senza adeguate spiegazioni dei genitori di una verità così familiare e così rimossa nei rapporti tra genitori e figlia che rende la vita dell’autrice un’esperienza psicoanalitica.
Gioco di specchi
La Lettera del 2011, scritta 60 anni dopo quel pomeriggio domenicale che segnò anche un cambio di luce nel ricordo, è un avvincente gioco di specchi tra realtà e finzione, accoglienza e ripulsa di una estranea nella propria vita costruita senza la sincerità dei propri genitori: le cure esterne e le premure non rimarginano la ferita di una sorella rimasta per sempre segreta e sconosciuta. Brandelli di nozioni ricomposte insieme negli anni con occasionali ricordi di cugini ignari, aiutano a lumeggiare nella mente di Annie, qualche tratto parziale della figura di Ginette, nome della sorella morta prima della sua nascita. È la scrittura e la narrazione, combinate magistralmente, che si fanno leggere perché avvincenti e imprevedibili. Una lettera che diventa un romanzo di lessico familiare distorto fin dalle premesse. “Scriverti – si legge – non è altro che fare il giro della tua assenza. Descrivere l’eredità d’assenza. Sei una forma vuota che è impossibile riempire di scrittura”. Questa lettera, recita in conclusione “è evidente, non è destinata a te, e tu non la leggerai. Saranno altri a riceverla, dei lettori, che mentre scrivo sono invisibili quanto lo sei tu. Eppure un residuo di pensiero magico dentro di me vorrebbe che, in maniera inconcepibile, analogica, questa lettera ti raggiungesse come la notizia della tua esistenza mi ha raggiunta una domenica d’estate, forse la stessa in cui Pavese si suicidava a Torino in una camera d’albergo, tramite un racconto di cui a mia volta non ero la destinataria”.
Forza sconvolgente
La finzione tra genitori e figli è un altro grande tema della lettera: vivere una verità che non si è comunicata confidando sull’ignorare dei figli bambini. Un errore, perché i bambini non vanno considerati come “creature dalle orecchie trascurabili” davanti ai quali si può dire tutto “senza conseguenze a eccezione di ciò che riguarda il sesso a cui si poteva solo alludere”. Il dialogo tra la viva con la sorella morta, risolto in un monologo, è di una forza imprevedibile e sconvolgente. La lettera n’è piena: tu sei il segreto… I genitori di un figlio morto non sanno ciò che il loro dolore fa a quello vivo… Ginette nome mai pronunciato… mai immaginata reale… sei l’anti linguaggio… Non scrivo perché sei morta. Tu sei morta perché io possa scrivere. Eri felice? Una domanda che non mi sono mai posta… lei o io… tu o io. Il dramma sta nella coscienza ferita e inguaribile di dover vivere come fotocopia e non nell’autonomia di un essere irripetibile.