Lettere nella storia: Boss in competizione

Un percorso investigativo durato molti anni, “incessante, progressivo, continuo, caratterizzato da rapidità, riservatezza”, ha portato in carcere per la prima volta la Primula rossa della nuova mafia: Matteo Messina Denaro, ultimo boss stragista degli anni Novanta, creatura di Totò Riina, alternativo a Bernardo Provenzano. Il generale Pasquale Angelosanto, comandante dei Ros (Reparti operativi speciali dell’Arma) autori dell’arresto, tra i diversi fattori del successo della lunga indagine, con sobrietà ha citato anche l’utilità delle informazioni evidenti o velate delle lettere e pizzini dei mafiosi.

Le lettere di Messina Denaro

Da anni erano note alcune lettere di Messina Denaro inviate tra il 1996 e il 2005 a diversi interlocutori privilegiati, operativi in quella borghesia mafiosa che – secondo i magistrati – dopo le stragi ha garantito l’habitat protettivo ai latitanti mafiosi. In questi ultimi decenni si è affermato un modo diverso di essere e fare mafia, non meno criminale, in stretta sintonia con l’evoluzione della cultura affaristica. In tal senso, benché giovane, Messina Denaro ha consolidato la svolta: dalla legge della lupara alla ramificazione di un welfare alternativo allo Stato. E proprio l’affermarsi di un welfare mafioso fa prevedere una lotta ancora lunga tra Stato e mafia capace di tessere legami corruttivi e business in sintonia con l’economia finanziaria. La nuova direzione di marcia appare abbastanza netta nelle 14 lettere di Matteo Messina Denaro rinvenute e sequestrate in varie perquisizioni e in particolare nel covo di Bernardo Provenzano per nulla stimato dal boss trapanese. Sono 5 gli “innominati” e citati con rispetto nelle lettere del boss di Campobello che lo hanno protetto nella latitanza. Il giro degli insospettabili è molto più ampio e conferma il trasformismo della mafia capace di infiltrarsi nella società apparentemente legale.

Gli indizi nelle lettere

Le lettere di Messina Denaro, sequestrate nel corso degli anni, attentamente analizzate hanno contribuito a identificarlo. Sette sono state ritrovate dalla polizia nel covo di Bernardo Provenzano, a Corleone, l’11 aprile 2006. Due, sequestrate nel covo di Salvatore e Sandro Lo Piccolo, a Giardinello, durante il blitz fatto dalla squadra mobile di Palermo il 5 novembre 2007. Cinque sono state invece consegnate al Sisde “Servizio segreto civile) dall’ex sindaco di Castelvetrano, Antonino Vaccarino, pure lui in contatto epistolare col latitante, fra il 2004 e il 2005. Lettere esaminate con cura dagli investigatori nella speranza di trovare una traccia per giungere all’autore latitante dal 1994. Lette che chiariscono il dissenso con Provenzano e cosa sia diventata la mafia. “Se io fossi nato due secoli fa, – si legge in una lettera – con lo stesso vissuto di oggi già gli avrei fatto una rivoluzione a questo stato italiano e l’avrei anche vinta”. “In Italia – aggiunge il boss – da circa 15 anni c’è stato un golpe bianco tinto di rosso attuato da alcuni magistrati con pezzi della politica ed ancora oggi si vive su quest’onda”. I due capimafia discutono soprattutto di una questione economica che vedeva contrapposti i clan di Trapani (legati a Messina Denaro) e di Agrigento (legati la latitante Giuseppe Falsone). “Se lo avessi davanti- riferito a Provenzano – gli direi cosa penso e, dopo di ciò, la mia amicizia con lui finirebbe. Oggi posso dire che se la vede con la sua coscienza, se ne ha, per tutto il danno che ha provocato in modo gratuito e cinico ad amici che non lo meritavano. Chiudo qua che è meglio”.

Nome in codice Svetonio

Il successore di Totò Riina è accusato di leggerezza pericolosa per non aver distrutto lettere e pizzini ricevuti dallo stesso Messina Denaro. Leggerezza imperdonabile si legge in una lettera a un misterioso interlocutore con il nome in codice di Svetonio. “Come lei sa – scrive dalla latitanza riferendosi a Provenzano – a quello hanno trovato delle lettere; in particolare di quelle mie pare ne facesse collezione. Non so perché ha agito così e non trovo alcuna motivazione a ciò e, qualora motivazione ci fosse, non sarebbe giustificabile…D’altronde non avevo a che fare con una persona inesperta ed ero tranquillo, anche perché io non ho lettere conservate di alcuno. Quando mi arriva una lettera, anche di familiari, rispondo nel minor tempo possibile e subito brucio quella che mi è arrivata…Tutto mi potevo immaginare, ma non questo menefreghismo da parte di una persona esperta. E forse ci sono le copie di quello che lui diceva a me, ma questa è solo un’ipotesi. Ormai c’è tutto da aspettarsi; siccome usava la carta carbone, può anche darsi che si faceva le copie di quello che scriveva a me e se le conservava, ma ripeto, questa è solo una mia ipotesi poiché ormai mi aspetto di tutto”. E adesso, “ci sono persone a me vicine e care che sono nei guai e sono imbestialito, troppo addolorato e dispiaciuto. È una cosa assurda dovuta al menefreghismo di certe persone che non si potevano permettere di comportarsi così”.