Lettere nella storia: terremoto, fragilità e malinconie

La parte nascosta dell’anima oltre le cifre nell’ultimo, devastante sisma tra Turchia e Siria sarà raccontata dalle lettere dei sopravvissuti. E si tornerà a scoprire forza e fragilità dell’animo umano di fronte al manifestarsi di eventi naturali terribili, incontrollabili come quello con l’epicentro a Kahramanmaras in Anatolia. A leggerle le lettere degli scampati dal sisma, si tocca con mano che siano proprio queste corrispondenze in qualunque lingua e dialetto, la migliore cura dell’anima dopo un terremoto. Anche per i timidi restii a mettere in piazza i propri sentimenti.

Nel cuore della gente

Di lettere sul terremoto, dal terremoto, ripensando il terremoto ce ne sono un’infinità. Individuali o collettive. Quelle che lasciano più pensare non sono le tante lettere aperte inviate ai giornali, ma quelle rimaste intime che mettono a nudo l’anima e testimoniano dolore indicibile, smarrimento, paure incredibili, generosità nascoste, vite scosse fino al disturbo mentale. È più facile ricostruire le case, magari in zone di prossimità. Il difficile vero è riparare le crepe nella mente e nel cuore della gente colpita. Le lettere lo testimoniano, lasciando intravedere sotto il velo del pudore, la trama spezzata o lacerata degli animi. Ora che la ragnatela dell’informazione in tempo reale si estende a buona parte del globo, il sisma si percepisce all’istante sia come monito della natura arrabbiata, sfidata dall’incuria dell’uomo e sia come momento di risveglio di passioni politiche e sociali più accese. Impotenti di fronte alla maestà dei cataclismi, gli uomini si illudono se non di spegnere, almeno stemperare l’indefinito disagio lasciato dalla violenza scomposta del riassestarsi terrestre, rifugiandosi nelle melanconie dei ricordi, o scadendo nella lite dei prepotenti o nel rinfacciarsi responsabilità per un dolore senza uguali che – se accade di provarlo – accompagna la sciagura del sisma.

Borghi distrutti

Un dolore che miete le speranze e si mescola confusamente con le energie del voler andare avanti, libera le represse tentazioni di maledire divinità senza volto, reclama un rifugio nella solitudine interiore mai prima provato. Si riscoprono la tenerezza, il pianto, la speranza, la provvisorietà della vita umana. Le lettere documentano tutto questo; provano che in Turchia, in Italia, in Siria o Iran, America, Asia e in ogni angolo della Terra abita un’analoga condizione umana. Nessun mezzo nell’esperienza dell’emergenza impotente sono specchio dell’anima al pari della lettera. Questo scrivere millenario strappa allo scrivente una forza e una sincerità pari a una confessione non più rimasta nel privato, ma gridata in toni sommessi. Anche i timidi riescono a scrivere i sentimenti alterati del loro cuore. “Tutto crollato ora” sintetizza un abitante dell’Aquila tornato a rivedere il borgo dell’infanzia ormai polverizzata con le case. “Vanità delle vanità, tutto è vanità” di biblica memoria è la sensazione dominante che pervade l’animo degli scampati. Lettere come sussurro per narrare senza farsi troppo male mettendosi a nudo.

Il lato nascosto di noi stessi

“Sono tornato – narra un nativo della Val Comino residente a Roma accorso in paese nel terremoto del 1984 – guidando per 140 chilometri con il batticuore per stare vicino ai miei cari. Pensavo – si racconta nella lettera ad un amico – a cosa dire una volta arrivato. Le parole non mi sono mai mancate. Un giornalista quando le parole non ce l’ha, le trova comunque. Fatica inutile prepararsi il che dire. Quando arrivi e guardi il cielo tornato terso dopo il diluvio, non dalle finestre che non ci sono più, ma da uno squarcio largo del tetto pericolante e vedi l’anziana madre che piange in silenzio in un angolo vuoto, imballata come un pacco dimenticato, sull’orlo di cedere alla voglia di morire con la sua casa, le parole non ci sono più. Parla il silenzio, ci si abbraccia stretti come sconfitti non rassegnati, ingoiando le lacrime per dare conforto bambini, ai cari anziani che il trauma del sisma lo hanno vissuto vedendo polverizzato in pochi secondi una vita di lavoro, sacrifici, risparmi”. Queste sensazioni esistenziali che si insediano prepotenti nel cervello senza mai più uscirne “le puoi confidare solo in una lettera che fa scoprire il lato nascosto di noi stessi gelosamente custodito. Si riesce a parlarne solo tanto tempo dopo, a ricordo lontano, lacrime prosciugate, esistenza dissestata e ricomposta. Come nel terreno resta la faglia seguita al boato, nell’animo resta la cicatrice mal ricucita a ricordo del prima lacerato che quasi sembra non esserci mai appartenuto”. Dopo il terremoto, lo sperdimento. È lì, dietro l’angolo di ogni sisma. L’animo dei sopravvissuti in parte se ne va con i morti. Inguaribile.