Su di loro aleggia ancora l’enigma della fine. Una scomparsa dipinta di giallo all’Agatha Christie di due geni del Novecento italiano – il matematico Ettore Majorana e l’economista Federico Caffè – e tuttora un vero rompicapo. Nessuna relazione tra le due storie che lettere d’addio hanno concorso a rendere simili. E intriganti. Dopo le lettere solo incertezze e mille ricostruzioni. Tuttora nessuna verità univoca e definita. Suicidio o scomparsa premeditata? E se scomparsi che nuova vita hanno intrapreso e perché? Le ultime tracce sicure sono delle lettere che, tuttavia, non svelano l’arcano; piuttosto accrescono la suspense di cosa sia davvero, spianando l’ingresso nella leggenda.
Due storie diverse
Più breve la vicenda di Caffè, figura di primissimo piano non soltanto nell’insegnamento universitario di economia keynesiana, ma anche suggeritore e promotore di politiche economiche tipiche del welfare in Italia nel secondo dopoguerra. Nessuno dopo la sua sparizione o presunto suicidio, si è fatto vivo per giurare, spergiurare – carte vere o false alla mano – di averlo rivisto vivo dal momento che tutti lo pensavano ormai morto. Di Majorana, invece, si è favoleggiato (?) continuando a pensarlo uno “scomparso vivo” per decenni dopo le sue ultime lettere. “Lettere galeotte e chi le scrisse”, direbbe Dante. Ma a fronte delle ipotesi successive alla scomparsa degli illustri autori, le ultime lettere hanno il pregio di essere state scritte sicuramente dal matematico e dall’economista.
Le ipotesi su Majorana
“Caro Carrelli, ho preso una decisione che ormai era inevitabile. Non vi è in essa un solo granello di egoismo, ma mi rendo conto delle noie che la mia improvvisa scomparsa potrà procurare a te e agli studenti”. È il venerdì 25 marzo 1938 quando Ettore Majorana – genio italiano insuperato della fisica teorica – scrive questa lettera al direttore dell’Istituto di Fisica di Napoli. Ha ormai trentuno anni e da pochi mesi è professore di Fisica teorica presso l’Istituto, dove la cattedra gli era stata assegnata “per chiara fama”. Alloggia all’hotel Bologna da cui esce verso le 17.00. Sul tavolo della sua stanza ha lasciato un’altra lettera indirizzata alla sua famiglia: “Ho un solo desiderio, che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all’uso, portate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di lutto. Dopo ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi”. Inizia la cosiddetta “majoranologia” ricama da ipotesi della sua presenza in convento o in America Latina. La lettera ai parenti che fa pensare al suicidio. Ma lo scienziato intasca il passaporto e ritira tutti i suoi soldi. Sale sul traghetto della compagnia Tirrenia in servizio tra Napoli e Palermo e parte regolarmente alle 22.30. il giorno seguente Carrelli riceve in mattinata un telegramma da Palermo. Non ha ancora ricevuto la lettera che Majorana aveva spedito il giorno prima e arriverà solo nel pomeriggio: “Caro Carrelli, spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera. Il mare mi ha rifiutato e tornerò domani all’albergo Bologna […] Ho però intenzione di rinunciare all’insegnamento. […] Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli”. Lo stesso giorno il traghetto riparte da Palermo e Majorana acquista un posto in cabina. Da questo momento, di lui non si sa più nulla. Inizia il mistero. Pochi mesi dopo la scomparsa il suo maestro Enrico Fermi scriveva a Mussolini perché attivasse le ricerche dello scienziato: “Io non esito a dichiararVi […] che fra tutti gli studiosi italiani e stranieri che ho avuto occasione di avvicinare, il Majorana è, fra tutti, quello che per profondità di ingegno mi ha maggiormente colpito”. Qualcuno pensa sia in convento in Calabria, altri in Venezuela. La procura a distanza di alcuni decenni chiude le indagini con nulla di fatto. Una testimone singolare e in apparenza credibile, Rolando Pelizza, ha sostenuto in anni recenti di essere stato allievo di Majorana e di averlo aiutato a costruire una macchina in grado di annichilire la materia, producendo quantità infinite di energia a costo zero. A sostegno del suo dire, Pelizza porta foto e lettere scambiate con il suo maestro sino agli inizi del nuovo millennio, con un Majorana centenario e vissuto sotto falso nome.
L’enigma di Caffè
Federico Caffè scompare il 15 aprile 1987 a 73 anni. Amareggiato nel veder delinearsi la sconfitta della sua visione economica o anche provato per demenza progressiva. È rimasto l’enigma irrisolto della sua fine. Dieci anni dopo la sua scomparsa un quotidiano pubblicò l’ultima lettera inviata all’amico Carlo Ruini 10 giorni prima di scomparire. “Non vorrei finire la mia vita con lo squallore di un suicidio”. Trentadue brevi righe. “A me è accaduto – scrive l’economista – la cosa più ingiusta e impensata. Una subdola depressione mi ha privato della facoltà di un qualsiasi ragionamento: le abituali amnesie del periodo senile sono diventate totali”. Non si è mai trovato un cadavere che potesse far pensare a Federico Caffè.