Vera e propria mina posta alla base della dottrina su cui riposava la guerra fredda, gendarme ideologico della divisione del mondo in due sfere d’influenze (capitalismo e comunismo) in seguito al secondo conflitto mondiale. Tale apparve l’11 aprile 1963 la Lettera enciclica Pacem in Terris firmata da papa Giovanni XXIII a poco meno di due mesi dalla sua morte avvenuta il 3 giugno.
Papa di transizione
Quest’anno, in analoghe condizioni di discordia planetaria, ricorre il sessantesimo anniversario dell’enciclica e della morte di Angelo Roncalli, il papa pensato di transizione che, invece, con il concilio Vaticano II e con la Pacem in Terris segnava la fine dell’immobilismo secolare della Chiesa cattolica e l’inizio del logoramento delle ideologie di conflitto. Una Lettera indirizzata “Al clero e ai fedeli di tutto il mondo” e per la prima volta “nonché a tutti gli uomini di buona volontà: sulla pace fra tutte le genti fondata nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà”. Quattro sostantivi che diventavano il quadrilatero della pace avvenire. In una convivenza ordinata e feconda – scrive papa Giovanni – va posto come fondamento il principio che “ogni essere umano è persona, cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura; diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili”.
Un dialogo storico
L’enciclica produsse un dibattito globale: non mancarono aspre critiche ma suscitò specialmente speranze in un mondo nuovo e plauso dal presidente degli Stati Uniti – allora Kennedy – e dell’Unione Sovietica – allora Krusciov, i due protagonisti che sei mesi prima erano stati sull’orlo di una guerra nucleare a causa dei missili a Cuba. In quel frangente Giovanni XXIII si era speso sostenendo la pace come anelito dei popoli del mondo. E il giorno precedente lo scoppio clamoroso della crisi, il concilio da poco inaugurato inviava un messaggio di pace al mondo, a cuore aperto “verso tutte le angosce che affliggono oggi gli uomini”. Era segnato così l’inizio della strategia evangelica indicata da Giovanni XXIII per aprire un dialogo storico con l’umanità che rendesse credibile il Vangelo. In questo scenario la pace diventava una condizione di credibilità e vivibilità del genere umano invitato non più a creare barriere, a sperimentare, invece, la fraternità. L’enciclica non piacque ai tanti ben radicati nella logica del conflitto e della supremazia. Alcuni punti della Lettera suscitarono un clamore speciale avviando un rinnovamento di pensiero nel cattolicesimo militante e nelle segreterie dei partiti, tuttora valido e incompiuto: la distinzione tra l’errore e l’errante; l’interdipendenza tra le comunità politiche del mondo con la proposta di un’autorità mondiale comune; la teoria del disarmo.
La riduzione degli armamenti
“Non si dovrà mai confondere l’errore con l’errante, – afferma l’enciclica – anche quando trattasi di errore o di conoscenza inadeguata della verità in campo morale-religioso. L’errante è sempre e innanzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona; e va sempre considerato e trattato come si conviene a tanta dignità… Non si possono neppure identificare false dottrine sulla natura, l’origine e il destino dell’universo e dell’uomo con movimenti storici a finalità economiche, sociali, culturali e politiche, anche se questi movimenti sono stati originati da quelle dottrine e da esse hanno tratto e traggono tuttora ispirazione. Giacché le dottrine una volta elaborate e definite rimangono sempre le stesse, mentre i movimenti suddetti… non possono non andare soggetti a mutamenti profondi”. Quanto ad armamenti e disarmo l’enciclica afferma: “Giustizia, saggezza ed umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti; si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti; si mettano al bando le armi nucleari; e si pervenga finalmente al disarmo integrato da controlli efficaci”.
La vera pace
Traguardo impossibile se “nello stesso tempo non si procede a un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoperandosi sinceramente a dissolvere in essi la psicosi bellica: il che comporta a sua volta, che al criterio della pace che si regga sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un obbiettivo che può essere conseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità”. Questo punto si può applicare alla presente situazione della guerra in corso in Ucraina. Muove da qui la fiducia che sorregge l’iniziativa diplomatica vaticana per un’impresa che può apparire azzardata se non disperata.