“Ginettaccio” lo chiamavano, con malcelato affetto. Per il suo stile riservato, burbero, intelligente, rispettoso, semplice. Polemico, da toscano doc. Virtù proprie dei campioni veri, inossidabili che bucano il tempo. Presenti nella memoria e nei sogni di generazioni postume ai loro trionfi. Gino Bartali (1914-2000) è rimasto un mito non appannato, magari rimpianto: campione e vicino al popolo; vittorioso e operoso nel quotidiano altruismo, quando i riflettori dei media sono spenti. Generoso perfino con gli avversari, tanto da far apparire la sua rivalità sportiva con Coppi, incredibile e fraterna. Leale sempre.
L’uomo e l’atleta
Gran parte dell’anima e della generosità di questo campione, senza le sue lettere, sarebbe rimasta sconosciuta. Le sue lettere svelano un Bartali impensabile. L’uomo e l’atleta strettamente interconnessi: liberi pensieri, sentimenti, contrappunti rispetto all’immagine diffusa dalla radio, dai giornali. La TV non documentava vittorie e sudore con la sua bici e non lo immortalava ai traguardi perché ancora non c’era. Per vederlo macinare salite improbabili bisognava aspettare spezzoni di pellicola nei notiziari che precedevano la proiezione del cinema nelle sale. Dalla sua corrispondenza si fatica a distinguere chi sia stato più affascinante, se l’uomo o l’atleta: la sorpresa più grande forse è scoprire la sua vita cristiana ammirevole e la sua iniziativa di macinare un’infinità di chilometri nella spola tra Firenze e Assisi durante la seconda Guerra Mondiale per fornire salvacondotti a persone e famiglie ebree destinate, altrimenti, ai campi di sterminio nazisti. Un merito che nel 2013 è valso a dichiararlo “Giusto fra le nazioni”.
La storia d’Italia
Nelle 200 lettere alla moglie Adriana (400 le cartoline) si rivivono pure momenti cruciali di vita nazionale quale fu l’attentato del 1948 a Palmiro Togliatti per cui si rischiò la guerra civile. A calmare gli animi esacerbati e smarriti, contribuì la vittoria per la terza volta di Gino Bartali al Tour. “Vorrei – scrive in una lettera alla moglie – tu potessi vedere quello che è e che può essere questa corsa, la manifestazione stessa di questi italiani all’estero piangere per la gioia di vedermi vincere, sia pure una tappa. Fai conto essi sì sono liberi, ma sempre mal visti perché considerati stranieri”. Sue emozioni svelate di fronte alle emozioni suscitate in patria e fuori, tra gli emigrati, orgogliosi delle sue vittorie. “Quanti farebbero forse anche a piedi queste tappe così dure pur di guadagnare anche una centesima parte di quello che guadagno io. Quanti pericoli dici tu ci sono a correre e bene, ma forse non ci sono tanti altri esseri umani, disgraziati tutti i giorni, che non sono corridori e che mancano come me da casa per gli stessi giorni e hanno tutti una casa, figli e famiglia?”.
La rivalità con Coppi
“Sentissi a noi quante volte ci chiamano mercenari – racconta Bartali alla moglie – perché vinciamo sui loro campioni e poi quante e quante cose ingiuste ci fanno! Ma non fa niente io ho nel mio cuore il pensiero sempre a Santa Teresina ed essa, con le preghiere alla Nostra Madre Santissima, mi raccomanda e mi dà come vedi la forza necessaria per credere alla sua protezione”. Non manca un riferimento al rivale storico, Fausto Coppi, assente da una corsa che Bartali conquistò rimontando ben 21 minuti sul campione francese Luison Bobet. “La salute è veramente ottima – scrive il 6 luglio, quando ancora l’impresa è ancora da compiere – .Credo che anche a me il mare mi abbia fatto bene, speriamo che la montagna mi faccia ancora meglio, ad ogni modo io sono ancora molto contento di me, povero vecchio con questi molti giovani. La speranza di far bene non la perderò certo ma credo che Coppi non arriverà mai a fare queste fatiche, lui è troppo sensibile. Peccato proprio che non sia venuto, altro che storielle”.
La lettera di Guido
Nella ricorrenza dei 100 anni dalla nascita di Bartali, venne pubblicata una lettera inviata nel 1938 da Guido, un bambino a Bartali fresco vincitore del suo primo Tour de France. “Caro Bartali. Io sono un bambino della provincia di Lucca, ho dieci anni. Forse sarò un tuo più grande ammiratore. Ora ai vinto il giro di Francia e non ti mancano i denari, io ti ho scritto questa lettera per farti sapere che io fin ora ti ho difeso da piccoli e grandi e qualche volta ho avuto dei cazzotti e io scappavo e gridavo Viva Bartali tante volte. Io ti voglio dire che se tu mi mandassi una bicicletta a corridore come la tua me ne farei tanto caso perché io mi vorrei allenare per farmi corridore. Mandamela perché a te non ti mancano i soldi. Questa lettera me la fatta inviare il segretario del fascio perché ti vuol bene a te». Una volta, al figlio, Bartali affidò un saggio consiglio che aveva sempre praticato: “Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca”.