Se c’è un posto dove vi può sembrare naturale trovare Marco Tardelli, quello è Casa Azzurri, il quartier generale della Nazionale in questa prima fase a Roma di Euro 2020. Naturale perché Tardelli è uno degli eroi del Mundial ’82 e perché la celeberrima esultanza dopo il secondo gol alla Germania Ovest nella finale del Bernabeu è diventata un’icona nazionale, oltre lo sport, forse anche oltre l’arte. Qualcosa di irripetibile.
I saluti dei tifosi
Tardelli passeggia per gli stand di Casa Azzurri e sono saluti e selfie. Sia dei padri – che posano con emozionati – sia dei bambini, trascinati dai padri stessi: “È un giocatore fortissimo, un campione, poi ti racconto”. C’è molto da raccontare, in effetti, soprattutto perché a pochi metri da dove Tardelli è protagonista di foto ricordo c’è il Museo della Nazionale e un videowall trasmette le immagini dell’urlo e della Coppa del Mondo sollevata al cielo dalle mani di Dino Zoff. Un momento che Renato Guttuso immortalò per un francobollo storico.
Mantenere la mentalità
È inevitabile, incontrando Tardelli, chiedere subito un pronostico. Ed è inevitabile che l’ex centrocampista dell’Inter getti acqua sul fuoco: “Difficile fare pronostici, quasi impossibile. Quest’Italia deve mantenere la mentalità che abbiamo visto nella prima gara e penso che farà bene”. Tardelli concorda anche sulle parole di Arrigo Sacchi, che dalle pagine di Repubblica ripete: squadra che vince non si cambia. “È normale, c’è tempo per riposare in questo torneo e nessuno si merita di uscire dopo un buon avvio. Mi sembra un consiglio assennato, quello di Sacchi”.
Un Mondiale da protagonisti
Ora che si intravede la luce dopo un anno e mezzo si sofferenza, una vittoria agli Europei sarebbe un toccasana. “C’è sempre bisogno di una vittoria, non solo in questo momento – conferma Tardelli – Ma ci sono anche gli avversari, e di grande valore. Ma sono convinto di una cosa – aggiunge pensando al futuro – credo che l’Italia in questo Europeo stia preparando la strada per un Mondiale 2022 dove potrebbe vincere”. Quaranta anni dopo il suo urlo liberatorio, quindi. In fondo, il gesto di Tardelli è qualcosa di incredibilmente attuale. Al tempo quel grido scacciò le tensioni della finale, ci avvicinò definitivamente alla certezza di vincere un Mondiale che ci mancava dal 1938, incorniciò la favola di un gruppo che passava dalla polvere all’altare in una manciata di partite. Oggi quell’urlo ci serve in modo ancor più importante: liberarsi dalla pandemia, riprendere la gioia di vivere, di esultare, a pieni polmoni, come fece Tardelli quella notte dell’11 luglio del 1982.