“Il vento, la bora, le navi che vanno via/il sogno di questa notte/e tu/l’eterno soccorritore/che da dietro le piante onnivore/guardavi in età giovanile/i nostri baci assurdi/alle vecchie cortecce della vita./Come eravamo innamorati, noi,/laggiù nei manicomi/quando speravamo un giorno/di tornare a fiorire/ma la cosa più inaudita, credi,/è stato quando abbiamo scoperto/che non eravamo mai stati malati”. È la strepitosa Alda Merini che scrive questa poesia dedicata a Franco Basaglia psichiatra e neurologo, nato esattamente un secolo fa (11 marzo 1924) e divenuto un simbolo, tra i più amati e avversati, per una vita dedicata a liberare l’uomo e la società dai fantasmi angoscianti della malattia mentale e dai tetri manicomi.
Un tema che fa paura
Con un’avvertenza dell’anima tanto umanamente immediata, quanto contrastata da riottose istituzioni. Ma che Basaglia – il papà dei matti – pone alla base del suo progetto liberatorio: “Se il valore è l’uomo, la salute e la normalità non possono rappresentare la norma, dato che la condizione dell’uomo è di essere sano e insieme malato, normale e insieme anormale. Se il valore primario è l’uomo e i suoi bisogni, all’interno della collettività dove la produzione serve alla sopravvivenza di tutti, il malato, il menomato, l’handicappato, il deviante, il disturbato psichico, l’inefficiente non sono gli elementi negativi di un ingranaggio che deve comunque procedere a senso unico, ma fanno parte dei soggetti per soddisfare i bisogni dei quali la produzione esiste e si sviluppa”. Ci sono voluti secoli per superare la ripulsa sociale verso i disabili considerati disgrazie da nascondere. La malattia mentale continua a fare paura e la tentazione di ripristinare barriere non è del tutto superata. Basaglia è considerato lo psichiatra italiano più influente e discusso del XX secolo.
Una lotta per la liberazione
Continua la battaglia ideale di Basaglia – definito dalla Merini “l’eterno soccorritore” – logorato fino a morirne nel 1980, due anni dopo l’approvazione della famosa legge 180/1978 sul superamento dei manicomi. La sua faticosa lotta per la liberazione dell’uomo malato, considerato da lui soggetto attivo per la propria liberazione, è documentata dal suo epistolario dedicato quasi per intero a spiegare il senso e la gestione corretta della sua proposta rivoluzionaria della psichiatria e della cura per la salute mentale. E, tuttavia, difficile poiché l’innovazione psichiatrica non dipende dalla tecnica come altre scienze applicate ma dalla scommessa sull’uomo stesso. La sua rivoluzione non si sarebbe concretata senza un ampio circolo di persone, donne e uomini, che hanno creduto in una trasformazione collettiva di istituzioni sanitarie che, anziché servirlo, asservivano l’uomo negandone la dignità.
Lettera da New York
Lo strumento “lettera” è diventato normale alleato per mettere in circolo esperienze e valutazioni individuali e collettive sul nuovo corso della psichiatria all’apice della popolarità con la pubblicazione nel 1968 del volume “L’istituzione negata”. Nel 1969 Basaglia pubblica la sua celebre “Lettera da New York. Il malato artificiale”. Negli Stati Uniti si era recato invitato in qualità di visiting professor, per la durata di sei mesi, dal Community Mental Health Center del Maimonides Hospital di Brooklyn”. La lettera verifica questa esperienza nata dal fatto – scrive Basaglia – che essa risulta “l’espressione della nuova legislazione in campo psichiatrico, in un paese ad alto livello tecnologico che rappresenta concretamente, il nostro futuro politico e istituzionale”. Il rinnovamento tecnologico non basta perché da solo non è curativo. “Questo – si legge nelle conclusioni di ben sette pagine fitte della Lettera da New York – è un breve flash del nostro futuro politico istituzionale. Gli Stati Uniti ci prevengono, con il loro sviluppo tecnologico, suggerendo soluzioni tecnico-istituzionali per ogni problema sociale, così da ridurre gradualmente ad una enorme istituzione tollerante, sottilmente controllata, l’intera società. In Italia siamo ancora alla fase violenta -repressiva e solo in alcuni settori le contraddizioni esplose hanno costretto nuove proposte. Ma l’esempio degli Stati Uniti – come specchio deformante della nostra realtà – può metterci in guardia contro ogni soluzione parziale e adialettica (sic!) che è soltanto la faccia rovesciata del medesimo sistema, confermando, su un piano reale, il rifiuto a riconoscere ogni azione antistituzionale come la proposta di un nuovo modello tecnico che contribuirebbe a coprire, sotto una nuova ideologia, le contraddizioni sociali appena evidenziate”. Il tecnico che vuole agire a difesa di chi chiede il suo aiuto – scrive Basaglia nel 1972 al presidente dell’Amministrazione provinciale di Gorizia – può usare “gli strumenti che la scienza gli offre solo se riesce a farli diventare mezzi di liberazione e non di oppressione… L’ospedale è costruito per la cura del malato e non per dare un ruolo ad un gruppo curante o difendere la società dal malato”. Alla stessa amministrazione ricorda di aver lottato, con altri, per trasformare “non solo il manicomio di Gorizia, ma i manicomi italiani, l’atteggiamento generale verso il malato mentale e la stessa definizione di malattia come qualcosa di infamante e irreversibile”.