Roma, 14 giu – Ricorrendo alle metafore, “La pappagallina Lola” spiega ai più piccoli una condizione di vivere diversa ma con cui è sempre possibile entrare in contatto: «La relazione con questi bambini speciali è un’opportunità di crescita carica di emozioni»
La pappagallina Lola è testarda e vola, incurante degli altri, circondata da un arcobaleno, uno spettro magico con diverse sfumature, che funziona come un filtro nei rapporti con la realtà esterna e che in certi casi la mette al riparo dalla paura, come quando, nella piana dei pipistrelli, replica con l’indifferenza agli attacchi del temibile Pipisbullo. La favola “La pappagallina Lola. Lo spettro magico”, appena uscita con Astro Edizioni, è vita reale per Tatiana Primadei, nostra collega del settore Pianificazione e controllo di PostePay Spa, che con questo libro vuole dare, sotto forma di metafora, gli strumenti per capire il mondo di Alma, la sua primogenita di 5 anni, a cui è stato diagnosticato il disturbo dello spettro autistico. La favola si rivolge principalmente a Mira, la secondogenita di 3 anni, che ha cominciato a porsi le prime domande sui comportamenti della sorella, così come ai compagni di scuola di Alma. “Lola” è una favola illustrata per bambini, le illustrazioni sono colorate e tangibili poiché realizzate in casa con l’aiuto di un’amica educatrice, le sagome sono state ritagliate su gomma e poi fotografate, questo per rendere possibile un racconto animato e ottenere un maggiore coinvolgimento dei bambini. Mira e alcuni amichetti hanno già iniziato a sperimentare la lettura del racconto e l’obiettivo è quello di proporlo nelle scuole dell’infanzia ed elementari dove utilizzare le metafore e le descrizioni del libro per far conoscere i comportamenti tipici dello spettro e abbattere la paura di ciò che non conosciamo invitando i bambini che la ascoltano a entrare in questo mondo colorato e misterioso e iniziando a fornire “gli strumenti” per poterlo fare. Parlando con Tatiana, però, si capisce quanto le metafore a volte possano funzionare anche con gli adulti nell’avvicinarsi all’enigma dello spettro autistico.
Tatiana, come comincia questa favola?
«Quando Alma aveva 18 mesi ho scoperto che non cresceva nel modo in cui mi aspettavo. Notavo una distanza dal punto di vista sociale e quando le parlavo lei non mi guardava. Ero incinta della mia secondogenita che decisi di chiamare Mira, un invito a guardarmi. Sono stati necessari mesi per arrivare alla diagnosi di disturbo dello spettro autistico per Alma ma io avevo già capito di appartenere a quel mondo e iniziai la terapia ancora prima di ricevere la diagnosi. Cominciammo, con mio marito, un percorso alla ricerca della giusta terapia di tipo cognitivo comportamentale. E in poco tempo abbiamo capito che tutto quello che per noi è scontato loro lo imparano attraverso tecniche molto precise e che è molto importante creare un setting costruttivo e utilizzare lo stesso approccio che si utilizza nelle ore di terapia, rivolgendosi ad Alma in modo per lei più comprensibile e mettendola nelle condizioni di avere una relazione con gli altri. L’obiettivo costante è che lei non si ripieghi su se stessa e su quelle che vengono chiamate stereotipie, i comportamenti rituali e isolanti associati allo spettro autistico, ma che anzi si apra agli altri imparando a comunicare i suoi bisogni e a divertirsi in compagnia».
E gli altri, adulti e bambini, come si rapportano con lei?
«Alma oggi lavora tantissimo e fa grandi passi avanti. Ma è necessario che il mondo le vada incontro, altrimenti diventa troppo difficile colmare il gap. Noi abbiamo cercato e stiamo cercando di sensibilizzare il mondo di Alma, la scuola, i compagni, gli amichetti. Con mio marito abbiamo fondato un’Associazione con l’idea di mettere a disposizione dei servizi inclusivi e portiamo avanti a Formello, dove abitiamo, un progetto di ludoteca integrata sensoriale rivolto a tutti i bambini, con o senza difficoltà».
La sorellina come si pone nei confronti di Alma?
«Mira da qualche mese ha iniziato a fare domande su sua sorella. È molto complicato far capire la situazione che vive Alma ai suoi coetanei, anche perché l’autismo non comporta nessuna differenza dal punto di vista fisico e il rischio è che i bambini possano non capire, o spaventarsi, di fronte al fatto che Alma ha un modo diverso di comunicare. Con il libro vorrei far comprendere che la sua è una condizione di vivere diversa dalla nostra ma con cui si può entrare in contatto e che dalla relazione con questi bimbi speciali nasce l’opportunità di scoprire fuori e soprattutto dentro noi stessi un mondo ricco di emozioni».
Chi è Lola, la protagonista della favola?
«È una pappagallina circondata da un arcobaleno, uno spunto positivo per far capire che può entrare in relazione con gli altri. Lola è testarda, si comporta in modo tutto suo e presto nasce un parallelo con la sorellina Ramì, che poi è l’anagramma di Mira. Ramì ha uno sviluppo tipico e ben presto inizia a cercare l’attenzione degli adulti, mentre Lola si comporta in modo totalmente diverso, gira su stessa, salta, sperimenta equilibri: la mamma, Runa, le osserva, inizia a porsi delle domande e intraprende un viaggio, prima da sola poi con tutta la famiglia, perché le mamme sono sempre le prime a cogliere i campanelli di allarme. È un’avventura che ripercorre le tappe del nostro percorso familiare, rendendole accessibili anche ai bambini attraverso l’uso di metafore e di strumenti tangibili, come il metro o la lente, che servono a far capire come la distanza fra la pappagallina Lola e gli altri non sia incolmabile. Così, fra tartarughe che vivono sul vulcano e grotte dei gufi si cercano le risposte a un quesito difficile, che riguarda la diversità di Lola. Ma c’è anche una parte della storia in cui le due sorelline si perdono nella piana dei pipistrelli e il Pipisbullo si avvicina minaccioso. Lola non lo teme, lo ignora al punto da farlo prendere in giro dagli altri pipistrelli. Sfrutta il suo punto di forza, le sue abilità, e la sorellina è orgogliosa di lei».
Come è stato per te scrivere questa favola?
«È una tappa di un lungo percorso. Quando sono iniziate le preoccupazioni su Alma il mondo si è interrotto: ci sentivamo lentissimi con il tempo che scorreva e la necessità di mettere in fila tutte le cose che si dovevano fare per lei. Allora, scrivevo per elaborare la rabbia e la paura. Quando sono riuscita a mettere la storia di Alma sotto forma di favola, l’ho fatto con il sorriso sulle labbra. Ammetto che per tornare alla serenità c’è voluto diverso tempo, perché lo spettro autistico rimane un enigma. Ma oggi posso dire con convinzione che avere Alma ci dona tantissimo ed è uno stimolo quotidiano che ha ribaltato i canoni della felicità».