Roma, 14 nov – Un editoriale del Financial Times discute oggi sulla storia di British Steel. Il titolo è eloquente: il Regno Unito deve decidere se British Steel è strategica. Il vasto impianto di Scunthorpe era stato acquisito dagli indiani di Tata Steel nel 2007, ma i conti non tornavano e alla fine Tata aveva deciso di chiudere. Allora, tre anni fa, è arrivato un gruppo finanziario, Greybull Capital, che riuscì a generare un profitto nel 2017, ma poi ha dovuto arrendersi e la società è ora in stato fallimentare. British Steel ha continuato a lavorare a carico dell’amministrazione fallimentare per salvare i posti di lavoro, in attesa di un compratore. Ora il compratore si è manifestato, il gruppo cinese Jingye, che si è impegnato a investire 1,2 miliardi su un arco decennale; il governo chiede impegni vincolanti su investimenti e occupazione. Ma in realtà nutre grandi dubbi sulle reali intenzioni del gruppo cinese, dato che i bassi prezzi dei produttori cinesi sono un fattore non secondario della crisi dell’acciaio in Europa.
“Ci sono alti rischi – conclude il commento – che questo accordo prolungherà solamente il dolore. La produzione britannica di acciaio è in un declino a lungo termine. Per il governo il problema di base dev’essere ancora risolto: è impegnato sull’acciaio come un settore strategico? Ci sono buoni motivi per conservare British Steel. E’ un fornitore vitale per l’industria della difesa e fornisce parti di qualità per le rotaie della rete ferroviaria. Un futuro sostenibile richiederà al governo di affrontare tali problemi come la tassazione delle aziende e i costi energetici che hanno appesantito la competitività. Nel peggiore dei casi sarà una falsa alba. Nel migliore sarà un’opportunità per il governo per costruire una nuova politica industriale”.