Un padre di famiglia muore in un incidente stradale. Nell’Aldilà, per via di un errore di calcolo, gli viene concesso di tornare in vita per un’ora e 32 minuti e di riassaporare alcuni momenti di trascurabile felicità (e infelicità) che ne mettono in evidenza vizi e virtù. Fra i tratti della personalità dell’uomo c’è senz’altro la diffidenza, rappresentata in una divertente scena che lo vede impegnato in un prelievo con il Postamat, mentre copre il pin non fidandosi della presenza di uno dei suoi migliori amici: “Non si può mai sapere”, dice Paolo, interpretato da Pif, nella fortunata commedia agrodolce di Daniele Lucchetti “Momenti di trascurabile felicità”, un film tratto dall’omonimo libro di Francesco Piccolo.
Pif, copri anche tu il pin quando vai al Postamat? Cos’hai in comune con Paolo, il tuo personaggio?
“In realtà poco: lui è un uomo privo di sensi di colpa, mentre io sono il re dei sensi di colpa. Ma Paolo è così pieno di difetti, che almeno uno o due ce li hanno per forza tutti. È una persona in cui, in qualche modo, ci si rivede o nella quale si rivede qualcuno a noi vicino. Alberto Sordi ha costruito la sua carriera su questo meccanismo, mettendo in scena una parte di tutti noi, che magari non vogliamo riconoscere”.
C’è qualche momento di trascurabile felicità del film in cui ti sei ritrovato?”Il disprezzo per lo zenzero lo condivido pienamente. Prima non se ne parlava mai, a un certo punto invece è sembrato che lo zenzero potesse salvare il mondo. A me non è mai piaciuto”.
Il film ha innescato una catena di post-it e di messaggi sui social sui momenti di trascurabile felicità e infelicità. Ce ne dici qualcuno che ti ha stupito, fatto riflettere o divertito di più?
“Quelli più divertenti si dimenticano in fretta. Mi ha colpito invece il fatto che la gente sia triste. Quello del post-it è un meccanismo che ci spinge a dire cose che in altri contesti non avremmo il coraggio di dire. A Palermo qualcuno scrisse: ‘Sono felice quando mio padre mi guarda e mi riconosce (ps: mio padre ha l’Alzheimer)’. Ho trovato cose molto intime, mi è capitato anche durante le letture del libro di Francesco Piccolo a teatro. Un uomo scrisse: ‘Mia moglie non ride mai per le cose per cui rido io; un giorno abbiamo riso per la stessa scena di Fantozzi e questo mi ha reso felice’. Spesso nella scrittura, anche solo di messaggi brevi come questi, c’è un sottofondo malinconico e romantico”.
Che rapporto hai invece con le lettere tradizionali? Ne ricevi, le conservi, le scrivi?
“Purtroppo è da anni che non ne scrivo e quelle che ricevo sono spesso brutte notizie di carattere burocratico. Le ultime lettere che ricordo sono di quando vivevo a Londra: ogni tanto le ritrovo e rileggo le risposte di mia madre. Ormai la mail ha sostituito le lettere, ma ammetto che l’intensità dei sentimenti non è la stessa, non fosse altro che per l’attesa dell’arrivo: vi convivono malinconia e felicità”.
Carta e penna alla mano: hai un’ora e 32 minuti per scrivere delle lettere a persone di cui hai perso le tracce o che non ci sono più. Cosa scriveresti?
“In generale, sono abbastanza anaffettivo. Quando perdo un parente o un amico, mi capita di avere il rimpianto, il senso di colpa appunto, per non aver detto ciò che pensavo. Quindi forse scriverei tutti i miei pensieri”.