Edoardo Bennato

Dopo 40 album e una carriera travolgente, vissuta senza tregua, dalle favole contemporanee e graffianti di “Non farti cadere le braccia”, “I buoni e i cattivi”, “Io che non sono l’Imperatore”, “La torre di Babele”, “Burattino senza fili” a “Sono solo canzonette”, all’acme del successo, con 60.000 spettatori allo stadio di San Siro, agli indimenticabili “È arrivato un bastimento”, fino a “La realtà non può essere questa”, ora Edoardo Bennato esce con un libro, “Girogirotondo” (Baldini & Castoldi). Si tratta di una biografia sentimentale raccontata attraverso gli album, gli incontri, con i testi delle canzoni e molti suoi disegni, nel contesto di mezzo secolo di storia italiana.

Lei ha scritto molte lettere nella sua vita? E a chi le scriveva?
“Diciamo che da giovanissimo ho azzardato scrivere lettere… talvolta a qualche ragazza per esplicitarle i miei sentimenti, altre volte, quando ero lontano da casa per inseguire i miei sogni musicali, a mia mamma. In seguito, per esprimere qualcosa, ho utilizzato la chitarra che mi è molto più congeniale”.

Ci sono momenti importanti della sua carriera di cantante, momenti di svolta, ma anche di persona, che iniziano dopo aver ricevuto una lettera?
“Probabilmente più che una lettera, fu quando all’inizio della mia carriera, per il primo album “Non farti cadere le braccia”, firmai il contratto con la “Ricordi”. In seguito, quando riuscii a fare questo mestiere, arrivavano molte lettere alla redazione della casa discografica, da parte dei fan… le leggevo… se non tutte molte, e cercavo di rispondere alle domande più disparate… se ci pensi, è ormai archeologia in tempo di social!”.

Ci sono lettere dei rapporti amorosi, in senso lato, in ogni vita, lettere scritte al padre, alla madre, all’innamorata. Quali sono state le sue? Per esempio, c’è una lettera di Ernestina Illeiano (amica di sua madre) del 1958 pubblicata dal Mattino che descrive lei come “il simpatico chitarrista” e suo fratello Eugenio “il suonatore di fisarmonica dal visetto dolce e malinconico”. Avevate 12 e 11 anni.
“Mia madre fu l’artefice della nostra passione per la musica, aveva tre figli maschi: io e i miei fratelli Eugenio e Giorgio. D’estate la scuola era chiusa e in base al proverbio che dice “l’ozio è il padre di tutti i vizi”, cercava di tenerci impegnati. Tentò con un maestro di lingue, ma pur vivendo a Bagnoli quartiere a nord ovest di Napoli dove c’era la sede della Nato più grande del sud Europa, non riuscì a trovarne uno disponibile. Reclutò invece un maestro di musica, così io mi trovai con una chitarra tra le mani, mio fratello Eugenio con una fisarmonica e l’altro fratello Giorgio con le congas e il banjo. Nacque così il Trio Bennato. Facemmo diverse esibizioni, anche in Rai, fino ad arrivare a suonare persino in Venezuela, dopo un lungo viaggio in nave, per una radio: Canal 7… avevo 12 anni!”.

In “Povero amore”, per esempio, canta in una strofa “con quelle lettere al mittente/con quelle labbra di fuoco ardente…”. Come sono le corrispondenze nella sua produzione musicale?
“Parlare di corrispondenze vere e proprie non è del tutto corrispondente, perdona il bisticcio di parole, alle mie “canzonette”. Nella fattispecie di “Povero amore”, si tratta di lettere spedite e ritornate al mittente… senza possibilità di appello… capita alle volte. Fa anche molto romanzo d’appendice”.

C’è una lettera che non avrebbe mai voluto scrivere?
“Non credo che abbia scritto qualcosa di cui non ero profondamente convinto. Ma questo vale per tutto ciò che ho scritto, può a volte capitare che alcune cose non reggano al passare del tempo, che cambino… Addirittura non siano quelle che abbiamo, anche fortemente, creduto: “Tanto il concetto non cambia colori… tanto il postino direbbe di no… e se bastasse soltanto una vita… sarei io a cavallo… per quello che ho” (cita una strofa di “Io che non sono l’imperatore”, ndr). Lo dicevo nella prima domanda che quando ero molto giovane ho scritto lettere, poi mi sono sempre espresso con la musica… andava molto meglio. E ora con “Girogirotondo” il mio libro che esce in questo periodo, racconto ancora più dettagliatamente, la mia lunga storia di artista”.

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