Lettere dalla storia: San Girolamo

Come significasse la libera scelta, possibile anche a una donna, di vivere da cristiani quando una tale scelta appariva controcorrente in una società quasi interamente pagana. E come fossero proprio le donne, anche nobili e ricche, le più radicali nella scelta. La vita cristiana era assimilata a un viaggio verso la terra promessa che richiedeva di riscrivere interamente la coscienza di sé e dei propri iniziali progetti di vita. Di tale scommessa sul futuro parlano due lettere magistrali a noi pervenute dal IV secolo dopo Cristo. Indirizzate a Eustochio, di nobilissima famiglia romana, giovane eremita. La prima è nota come Lettera sulla verginità. La seconda racconta la straordinaria vita cristiana di Paola, sua madre, esemplare testimone del Vangelo. Scritte in forbito stile classico latino da Girolamo, coltissimo eremita divenuto santo, nato nel 347 e morto nel 419. Anche per Girolamo vivere da buon cristiano non era stato semplice. “Quante, quante volte, pur abitando in questo sconfinato deserto bruciato da un sole torrido, in questa squallida dimora offerta ai monaci – si legge nella Lettera 22 a Eustochio, la vergine figlia di Paola – credevo davvero d’essere nel mezzo della vita gaudente di Roma! Me ne stavo seduto tutto solo, coll’anima rigonfia d’amarezza. Il mio corpo, sfigurato dal sacco, faceva spavento; la pelle sporca e indurita… Lacrime e gemiti ogni giorno! Se, nonostante i miei sforzi, il sonno mi assaliva improvviso, ammaccavo le ossa tutte slogate, steso sulla nuda terra. Non ti parlo del cibo e della bevanda: nel deserto anche i malati usano acqua gelida; un piatto caldo è una golosità! Io dunque, sì, proprio io che mi ero da solo inflitto una così dura prigione per timore dell’inferno, senz’altra compagnia che belve e scorpioni, sovente mi pareva di trovarmi tra fanciulle danzanti. Il volto era pallido per il digiuno, eppure, in un corpo ormai avvizzito, il pensiero ardeva di desiderio; dinanzi alla mente d’un uomo già morto nella carne, ribolliva l’incendio della passione”.

Una preziosa eredità

Benedetto XVI in tre righe presenta San Girolamo come “un Padre della Chiesa che ha posto al centro della sua vita la Bibbia: l’ha tradotta nella lingua latina, l’ha commentata nelle sue opere e soprattutto si è impegnato a viverla concretamente nella sua lunga esistenza terrena, nonostante il ben noto carattere difficile e focoso ricevuto dalla natura”. Da alcuni considerato il più dotto tra i Padri occidentali della Chiesa, Girolamo viene ricordato anzitutto per la prima traduzione in latino della Bibbia, conosciuta con il nome di “Vulgata”. Le sue 154 Lettere sono una preziosa eredità per capire il suo tempo, un ponte narrativo del passaggio tra il vecchio mondo pagano e il cristianesimo. In questo Epistolario, spicca la Lettera 22 sulla verginità e la 108 “Alla vergine Eustochio, epitaffio di Paola, sua madre”, forse la lettera più bella dell’intero carteggio, considerata il capolavoro di Girolamo. Vi si narra il viaggio di Paola da Roma a Betlemme, dalla città alla solitudine, come un excursus spirituale verso un modello di vera santità, attraverso i luoghi della Palestina ricordati nella Bibbia. Una donna, Paola, diventa un modello di vita alla sequela di Gesù. Nella vita di Paola, donna immensa, traspare incarnata la novità dell’essere cristiani. “Nessuno mai ha dato di più ai poveri di colei che nulla ha riservato per sé”. “Quella che abitando in Roma non era da nessuno conosciuta fuori di Roma, nascosta in Betlemme si rende ammirabile ai barbari paesi e a Roma stessa. Chi nei luoghi santi ritrova cosa più degna di ammirazione tra gli uomini che Paola? Ella come gemma preziosissima tra molte gemme risplende. E in quel modo che lo splendore del sole copre e oscura le piccole fiammelle delle altre stelle, così quella gran donna con la sua umiltà ha superate le virtù e le potenze di tutti, ed è stata la minima fra tutte per divenire di tutte la più grande; quanto più ella si abbassava, tanto più dal Cristo era innalzata… Addio Paola! Con efficaci preghiere porta aiuto a me, giunto agli ultimi anni della mia vita, che sempre ho venerato e venero le tue virtù”.