Lettere nella storia: William Wilberforce contro la schiavitù

Accanto alla rivoluzione francese dei grandi principi di libertà, uguaglianza, fraternità non di rado sono rimasti in ombra uomini e donne che si sono battuti concretamente per l’affermazione di quei diritti attinenti la dignità umana. William Wilberforce è una di queste figure scialbamente ricordate fuori dalla Gran Bretagna sua patria natale. Invece è stato un perseverante combattente per l’abolizione della schiavitù, millenaria macchia vergognosa sulla dignità umana tra le più difficili da superare ancora oggi in ogni parte del mondo. Come in altre questioni di rilevanza sociale, anche nella lotta alla schiavitù e agli schiavisti si deve alla corrispondenza epistolare una migliore conoscenza dell’ispirazione e dei passaggi politici, mai scontati, che lungo la storia hanno reso possibili nuovi traguardi di civiltà.

Obiettivi di umanità

L’abolizione della schiavitù venne codificata la prima volta in Inghilterra nel 1833, a coronamento di 40 anni di attivismo civico, religioso e politico di Wilberforce. Il primo successo – nella lotta alla tratta – fu conseguito dalla mozione approvata dalla Camera dei Comuni nel 1807. Un traguardo che subito, come documenta una sua lettera del 1808 al presidente americano Thomas Jefferson, Wilberforce sfruttò per coinvolgerlo in accordi bilaterali tra Inghilterra e Stati Uniti nell’impresa di stroncare la tratta degli schiavi dall’Africa per via mare. Per l’abolizione della schiavitù e l’emancipazione degli schiavi, bisognerà attendere ancora 25 anni in Inghilterra e ben 57 negli Stati Uniti. “Ho l’onore di portare alla Vostra attenzione – si legge all’inizio della lettera a Jefferson – una questione di altissimo rilievo per i grandi obiettivi che si propone; obiettivi che riguardano il lato umano e buono d’ogni paese, e la condotta del governo e del popolo americano è tale da indurre a sperare di ottenere negli Stati Uniti un’approvazione almeno tanto ampia quanto quella ricevuta in Gran Bretagna”. Egli scriveva a nome dell’Istituto Africano, da lui fondato, che era animato dalla speranza della cessazione “della tratta degli schiavi – quell’imponente ostacolo che in passato si è contrapposto ad ogni sforzo di migliorare lo stato della società in Africa”. Doveva essere un fiorente commercio quello che navi inglesi, battendo bandiera americana, potevano fare indisturbati nella spola tra l’Africa, l’Inghilterra e gli Stati Uniti cariche di schiavi.

La fine del contrabbando

L’accordo proposto prevedeva una vigilanza efficace delle navi militari di entrambi i Paesi per sequestrare le navi con schiavi a bordo, interrompendo così un redditizio ma ignobile commercio. “Se noi ci fermassimo, il commercio degli schiavi continuerebbe a portare avanti le proprie devastazioni senza controllo o interruzione e aumenterebbe soltanto la probabilità che non potremo più sopportare che esse vengano praticate impunemente”. Nella lettera lunghissima e densa di dettagli tecnici da considerare tra le parti per porre fine a contrabbando di schiavi africani “particolarmente riprovevole” e vergognoso, si formula “la piacevole speranza che non sia lontano il giorno in cui il Vostro governo e il nostro, nel perseguimento del parere saggio e generoso presente nell’ultimo trattato ratificato, procederanno a trovare un’intesa per far applicare le loro leggi per l’abolizione della tratta degli schiavi”. Wilberforce definisce la lotta alla schiavitù “nobile scopo di porre fine alle devastazioni del flagello forse più distruttivo che abbia mai colpito il genere umano”.

Una battaglia ancora attuale

Morì un mese dopo l’approvazione dello Slavery Abolition Act che dava libertà agli schiavi nell’impero britannico. Ma la sua battaglia è ancora attuale se si deve dar credito alla denuncia dei vescovi anglicani della Chiesa d’Inghilterra nella lettera pubblica della pasqua 2018. “Nel Regno Unito – scrivono – la schiavitù è in forte aumento. Non si vedeva un simile incremento dai tempi di William Wilberforce”. “Ci sono migliaia di persone che vivono in mezzo a noi che, purtroppo, non possono fare la stessa cosa, che stanno soffrendo una vita di schiavitù: sfruttati, minacciati, violentati e abusati”. Nonostante nel 2015 il Regno Unito abbia approvato il “Modern Slavery Act” nel paese si registrano molti casi di abusi. La schiavitù moderna concerne situazioni di sfruttamento cui la vittima non può sottrarsi a causa di minacce, violenza, coercizione o abuso di potere. “Più di duecento anni fa, William Wilberforce — conclude la lettera dei vescovi anglicani — ripeteva spesso che “Puoi scegliere di guardare dall’altra parte, ma non puoi mai dire che non lo sapevi”.