Penso, solo per fare un esempio, a Francesco, giovane postino romano a Bergamo, che ha percorso le strade, nei giorni dell’emergenza e del contagio, dicendo: «Mai come in questo momento sento di fare un mestiere utile agli altri. In questi giorni mi accorgo di come le persone reagiscano, mettendosi di buon umore, non appena vedono la nostra divisa e i nostri mezzi». Oggi parlare di uno è come parlare di tutti. Sono migliaia quelli che nel tempo del virus hanno attraversato le città, spesso a piedi, con la loro divisa catarifrangente, per fare il proprio lavoro in tutti i territori di frontiera, nelle strade in cui ogni serranda era abbassata, ogni luce spenta, ogni negozio era chiuso. In ogni ufficio postale che resta aperto. Francesco, 26 anni, romano a Bergamo, racconta che ogni giorno ha svolto le sue sette ore di turno pensando di essere non solo un servizio, ma anche un messaggio per chi è costretto a stare a casa: «La gente ragiona così e ti dice “se i postini girano vuol dire che la situazione è ancora sotto controllo”». Vero.

Sul filo della corrispondenza

Se quella contro il virus è una nuova guerra, allora per combatterla e vincerla serve questo spirito, questa capacità di comprensione superiore. Durante le due guerre del Novecento c’era chi viveva sotto le bombe, e nei rifugi, ma ci furono interi paesi coinvolti, come l’America, in cui non si sparò un solo proiettile. Durante il lockdown, invece, oltre un miliardo di persone sono state in isolamento nel mondo, come ci hanno detto gli epidemiologi. Ricchi o poveri, collocati al nord o al sud, in pianura o in montagna, in campagna o in città, ma tutti ugualmente minacciati, tutti ugualmente a rischio: è stata la stagione della privazione, il tempo della Quarantena. E in questo isolamento, in questo clima di auto reclusione (necessaria), mai come oggi il filo giallo della corrispondenza e dei pacchi, è stato uno degli strumenti che ci ha mantenuti connessi, dunque vivi. Diceva un giovane Pietro Calamandrei, futuro padre della patria, raccontando della sua esperienza nella Grande Guerra: “In verità signori, la posta è il più grande dono che la patria possa fare ai combattenti”. Aveva ragione: milioni di italiani, separati da frontiere e trincee, continuarono a comunicare in quei giorni feroci, grazie a lettere e a cartoline. Gli uffici postali si trasformarono nell’emergenza, divennero – come per magia – armadi e bauli da viaggio, corredi di emergenza trasportati dall’esercito, apparati essenziali compressi in forma di bagaglio che una volta arrivati a destinazione si trasformavano rapidamente in uno strumento di servizio a cui nulla mancava: bolli, moduli, timbri e affrancature. Con il virus riti antichissimi sono tornati attuali, idee futuristiche e postmoderne sono invecchiate in un istante, persino i telefonini si devono spegnere nelle terapie intensive, e i contatti umani vengono banditi dalle quarantene. Milioni di italiani chiusi nelle loro case hanno riscoperto il piacere e la necessità di spedire e di comprare per corrispondenza: di necessità si fa virtù. Sei confinato, ma la tua corrispondenza non ha confini.

Nel fiume delle cartoline

Durante la Prima guerra mondiale le Poste tennero unita l’Italia nei modi più disparati: in furgone, in mulo, in alcuni casi persino in slitta, per traversare l’ostacolo della neve. Due miliardi e mezzo di cartoline attraversarono il Paese (ed è un numero incredibile, ma persino leggermente sottostimato) accompagnate da una obliterazione aggiuntiva: “Verificato per censura”. Non si potevano citare i luoghi e le date, perché non si poteva rischiare di dare informazioni al nemico: occhi attenti vagliavano la corrispondenza. Questo creò una letteratura fantastica di trovate e di stratagemmi, dai codici cifrati all’inchiostro simpatico. Il filo giallo di Poste, quando si cala nella storia, si attorciglia intorno alle difficoltà dei tempi, aderisce ai problemi, senza mai spezzarsi.  Cercando negli archivi della Grande Guerra mi imbatto nell’escamotage commovente del figlio che per raccontare al padre la località dove si trovava di stanza con il suo reggimento gli scrive:”Lo metto sotto il bollo”. Siamo tutti sotto il bollo. La Grande Guerra, fra le altre cose, produsse “i PCP, i pacchi a prezzo calmierato”. Potevi spedire un pacco a tariffa speciale, cioè, se restavi sotto un rigoroso standard, un chilo e mezzo di peso. Fu in questo modo che, “da” e “per” le zone di guerra partirono nove milioni di pacchi pieni di ogni ben di Dio: generi di conforto, cibo e calze pesanti per proteggersi dal freddo.

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