Lettere nella storia: il re, Garibaldi e quella postina tra i Mille che fecero l’Italia

Tra i “Mille di Marsala” che con Garibaldi condivisero la celebre spedizione ammirata per decenni come “sublime epopea”, “marcia gloriosa che rimase memorabile nella storia”, ci fu anche una donna: una resistente savoiarda divenuta moglie di Francesco Crispi. Il suo nome è Rosalia Montmasson ricordata come brillante portalettere di patrioti tra Genova, Sicilia e Malta impegnati a titolo diverso nell’impresa che ha del leggendario.

Una lunga corrispondenza

Unica accettata da Garibaldi nell’imbarco dei Mille, a Calatafimi “compì prodigi di valore e di carità, apprestando cure amorose di sorella e di madre ai feriti di quella memorabile battaglia”. Chi, anche oggi, almeno con la scuola elementare, non ricorda Giuseppe Garibaldi e la spedizione dei Mille? Non tutti però sanno che la riuscita di quell’impresa incredibile moltissimo deve alla fitta corrispondenza di prima, durante e dopo tra i tanti protagonisti che la sognarono, prepararono, realizzarono. Tanti i patrioti noti e meno noti, autori delle lettere persero la vita sui campi di battaglia. Allora, infatti, un grande ideale per cui vivere e morire che richiamava i giovani era la lotta per un’Italia indipendente.

Un fitto dialogo scritto

I protagonisti principali della ragnatela di lettere che avvolse l’impresa furono Garibaldi, Vittorio Emanuele II, Cavour, Mazzini. Ma indispensabili complementi furono tanti personaggi passati alla storia come protagonisti minori, figure di completa dedizione alla causa; alcuni donarono la vita nella spedizione come avvenne per Rosalino Pilo. In assenza di telefoni e strumenti telematici, le lettere svolsero un ruolo fondamentale di raccordo, di comunicazione, informazione e valutazione degli eventi. Migliaia le lettere di cui si è conservata la memoria. Tra questa ingente produzione postale, l’attenzione si è giustamente concentrata sul re, su Cavour e Garibaldi senza i quali non ci sarebbe stata spinta propulsiva e sintesi operativa per la riuscita – talvolta fortunosa – di un’impresa che riempì di meraviglia l’Europa per lungo tempo.

La lettera di Victor Hugo

Ancora 14 anni dopo, il celebre autore francese Victor Hugo scriveva a Garibaldi: “La vostra lettera mi emoziona e io sento commuovere per voi il mio vecchio cuore di fratello. Sì, raccontate voi stesso le vostre magnifiche azioni, le raccontate all’Italia, alla Francia, al mondo. I Mille saranno gloriosi come lo sono stati i Diecimila, con la differenza che i Mille non sono celebri per la ritirata, ma per la vittoria. Come Senofonte, voi compite l’epopea, e dopo averla fatta voi la raccontate; ma voi siete più grande di Senofonte. Egli non portava in sé che l’anima della Grecia, voi sentite dentro di voi l’anima dei popoli. Caro Garibaldi, io vi abbraccio”.

Tre figure differenti e complementari

Lo scambio di lettere più importante avvenne tra Garibaldi, il re, Cavour. Una corrispondenza che aiuta a misurare la complessità oltre che la pericolosità dell’impresa che poteva sembrare un azzardo: c’era in gioco un delicato equilibrio diplomatico e politico negli assetti europei del tempo. Occorreva una consumata prudenza. L’obiettivo di portare avanti l’unità d’Italia trovò in queste figure eccezionali un’accelerazione insperata e imprevedibile. Tre figure differenti e complementari tra loro: Cavour la prudenza sorniona fino a mentire, il Re il sostegno totale ma segreto, Garibaldi la schiettezza e la generosità insieme a uno spirito di servizio ammirevole. Il loro carteggio ci svela il prima, il durante e l’avvenuta conclusione della spedizione. Garibaldi ne esce vincitore non vanaglorioso, fedele al binomio scelto come stella polare realista della sua azione: “Italia e Vittorio Emanuele”. Nonostante fosse un idealista repubblicano si fidò di un “Re Galantuomo”. Cavour scrive al colonnello Cugia, suo intimo amico: “La spedizione di Garibaldi è un fatto gravissimo. Tuttavia reputo che non si poteva, né si doveva impedire. Essa era apertamente favorita dall’Inghilterra, e mollemente contrastata dalla Francia. Molti dei nostri amici e dei più devoti la secondavano. Dovevo io mettermi in opposizione con questi? Sarebbe stato un errore, che avrebbe credo creato difficoltà grandissime all’ interno”.

Unità di sentire

Tra la vigilia della spedizione partita il 5 maggio e conclusa a fine ottobre di quel 1860 favoloso per l’Italia, ben 10 furono le lettere del re fatte recapitare a Garibaldi da fidatissimi messaggeri. E tutte manifestano unità di sentire sostanziale tra il sovrano e il generale. Nella prima lettera il re raccomandò a Garibaldi di “non fidarsi che di me e di nessun altro”. Cavour escluso, talvolta intesa perfino contro di lui, chiosa qualche storico. A riprova, che se il 1860 “fu per Giuseppe Mazzini l’anno della più grande amarezza e per il conte di Cavour la palestra della sua politica, esso fu l’anno in cui Re ed Eroe cospirarono insieme contro tutta l’Europa reazionaria, insofferenti entrambi, questi due magnanimi cuori di soldati quali erano, da ogni diplomazia interna o straniera”. Lo storico francese Edgard Quinet in una lettera al generale nel 1875 scrive tra l’altro: “Esalta i Mille e tace del tutto di se stesso” nonostante sia stato l’anima di un’eroica azione mai compiuta neppure nell’antichità.