Per singolarità e unicità, nelle cronache del Sinodo che studia un volto nuovo e più evangelico per la Chiesa cattolica, si ricorderà una lettera scritta da Wyatt Olivas di anni 19, studente all’università del Wyoming negli Stati Uniti. Non ha contenuti speciali, ma insolito è il contesto e il firmatario: un papa che giustifica l’assenza di un giovane dalle lezioni universitarie a causa del Sinodo. Unico motivo per la richiesta è la stanchezza del giovane dopo 4 settimane di intenso lavoro assembleare e le successive 13 ore di volo Roma-Denver per rientrare a casa. Wyatt l’ha pensata bella e subito: chiedere a Francesco di firmare la lettera giustificativa. Le stringate cronache vaticane riferiscono che il papa l’ha siglata di buon grado durante una pausa dei lavori assembleari, scrivendo in calce “Francis” con una minuta calligrafia e un divertito il sorriso sulle labbra per l’inventiva del più giovane componente dell’assemblea.
La lettera firmata durante il Sinodo
“Wyatt A. Olivas – si legge nel testo preparato dallo stesso studente – è stato parte integrante del Sinodo sulla sinodalità, lavorando diligentemente per contribuire a questo evento significativo nella Chiesa. I suoi sforzi sono stati molto apprezzati dalla comunità ecclesiale e siamo grati per la sua dedizione e il suo duro lavoro. Come risultato dei suoi instancabili sforzi, crediamo che Wyatt meriti una pausa dalle lezioni per ricaricarsi”. Wyatt, si legge inoltre nella lettera “ha promesso di tornare a lezione e completare il suo lavoro, e confidiamo che manterrà la parola data. Siamo fiduciosi che, dopo questa pausa tanto necessaria, tornerà ai suoi studi con rinnovata energia e concentrazione. Chiediamo pertanto gentilmente che venga esonerato dalle lezioni per un breve periodo”. Poteva un presidente tanto comprensivo e paterno quale è Francesco sottrarsi dal firmare e anzi aggiungendo una valutazione lusinghiera dicendo al giovane: “E’ vero, tu sei importante”?
L’appello dell’Assemblea “al popolo di Dio”
La lettera di Wyatt non è stata l’unica che verrà ricordata tra gli atti piccoli o grandi del XVI Sinodo dei Vescovi. A pochi giorni dalla conclusione l’Assemblea ha, infatti, indirizzato una Lettera “al popolo di Dio” come si preferisce chiamare la Chiesa cattolica dopo il concilio Vaticano II. Preparata da un’apposita commissione e letta in aula, era stata applaudita, ma subito dopo sottoposta a svariate richieste di modifica. E abbreviata. Una volta pubblicata non ha incontrato, tuttavia, unanimi consensi. Piuttosto critiche che l’hanno qualificata nel miglior dei casi “autoreferenziale”. In realtà a fronte della sintesi finale dei lavori la lettera non è apparsa all’altezza dell’importanza dell’evento trasformativo della prassi sinodale cattolica. Una critica è stata per lo meno frettolosa: quella d’ignorare del tutto gli eventi drammatici e dolorosi che tengono in scacco la comunità internazionale. “La nostra assemblea – recita un paragrafo della lettera – si è svolta nel contesto di un mondo in crisi, le cui ferite e scandalose disuguaglianze hanno risuonato dolorosamente nei nostri cuori e hanno dato ai nostri lavori una peculiare gravità, tanto più che alcuni di noi venivano da paesi dove la guerra infuria. Abbiamo pregato per le vittime della violenza omicida, senza dimenticare tutti coloro che la miseria e la corruzione hanno gettato sulle strade pericolose della migrazione. Abbiamo assicurato la nostra solidarietà e il nostro impegno a fianco delle donne e degli uomini che in ogni luogo del mondo si adoperano come artigiani di giustizia e di pace… Giorno dopo giorno, abbiamo sentito pressante l’appello alla conversione pastorale e missionaria. Perché la vocazione della Chiesa è annunciare il Vangelo non concentrandosi su se stessa, ma ponendosi al servizio dell’amore infinito con cui Dio ama il mondo. Di fronte alla domanda fatta a loro, su ciò che essi si aspettano dalla Chiesa in occasione di questo sinodo, alcune persone senzatetto che vivono nei pressi di Piazza San Pietro hanno risposto: ‘Amore!’. Questo amore deve rimanere sempre il cuore ardente della Chiesa”.
La lettera-testimonianza “al caro papa Francesco”
Infine, merita una menzione una lettera-testimonianza “al caro papa Francesco” di uno dei partecipanti al sinodo, apparsa fugacemente sui media vaticani. L’anonimo firmatario sottolinea la difficoltà dei vari attori della Chiesa (vescovi, preti, religiosi, movimenti) a rinunciare a qualcosa di proprio in favore dell’insieme. “Non si può avere tutto senza rinunciare a niente. Ciò è impossibile e mina alla radice la ‘profezia’ del Sinodo, ma anche il futuro della Chiesa. Come mai, infatti, abbiamo appesantito la Chiesa così tanto? Come abbiamo potuto arrivare al punto di toglierci il respiro? Come mai le nostre Chiese (non la Chiesa) sono diventate la tomba della fede (almeno in Europa che conosco meglio)? Ho una sola risposta: il Signore ha rinunciato a ciò che aveva di più caro, al ‘tesoro geloso’ della sua divinità… Ma noi come possiamo correre, gridare a squarciagola il Vangelo se siamo così appesantiti e facciamo fatica a muoverci? Siamo forse ostaggio di una certa obesità fatta di autosufficienza e narcisismo?”.