Roma, 7 ott – Nel secondo trimestre dell’anno il numero di occupati ha superato il livello dei corrispondenti tre mesi del 2008 (+283mila unità). E’ cambiata tuttavia in modo sostanziale la composizione dell’occupazione. I dipendenti full time a tempo indeterminato sono calati nello stesso periodo di 544mila unità, così come calano gli indipendenti (-581mila nel tempo pieno e -51mila nel part time). Crescono invece tra i lavoratori dipendenti sia i part time (+732mila a tempo indeterminato e +385mila a termine) che i tempi determinati (+726mila in totale, di cui circa il 50% ricompresi nel part time). E’ quanto rileva uno studio della fondazione Di Vittorio (Cgil).
Se si prendono in esame le tipologie di lavoro, la qualità dell’occupazione, nonostante la variazione positiva dello stock di occupati, peggiora sensibilmente, anche per le caratteristiche di involontarietà che la contraddistinguono. Lo conferma il fatto che nel secondo trimestre 2019 le ore lavorate siano ancora inferiori al dato dei secondi tre mesi del 2008 (-5,1%). Il calo è maggiore tra gli indipendenti (-14,1% di ore lavorate) che risentono di una contrazione anche nel numero assoluto di occupati. Ciò nonostante la quota di occupati indipendenti è in Italia pari al 23% contro meno del 15% nell’Eurozona.
Per il lavoro dipendente, lo scarto residuo è del -0,8% in presenza però di un numero decisamente maggiore di occupati rispetto al 2008 (oltre 900mila) e, quindi, con un consistente minor numero di ore effettive pro capite, mentre dovrebbero essere più alte. Questo per effetto dell’aumento del part time e per vuoti di attività legati al tempo determinato.
Sono fattori particolarmente preoccupanti in un Paese con un tasso di occupazione già basso, spiega la fondazione Di Vittorio. La ricerca si sofferma tra l’altro sui temi del part time involontario e del tempo determinato. La percentuale del part time è leggermente inferiore alla media dell’Eurozona. E’ però nettamente più alta in Italia la percentuale di part time che è involontario (64,2% contro 26,5% nel 2018) ed è cresciuta di 24 punti dal 2008. Nel 2019 il part time involontario ha proseguito la sua crescita, arrivando nel secondo trimestre al 64,8% pari a 2,9 milioni di occupati.
La media delle ore settimanali, simile a quella francese, è leggermente più alta rispetto all’Eurozona (22 ore contro 19), ma la retribuzione media oraria risente di una forte penalizzazione (-33,6% in Italia contro -17,5% nell’Eurozona) e, quindi, la retribuzione finale è inferiore. Minore retribuzione oraria con più ore lavorate, maggior utilizzo nelle fasce centrali dell’occupazione, sono una parte della spiegazione dell’alto tasso di part time involontario in Italia.
Lo stock di dipendenti a tempo determinato è cresciuto fino a oltrepassare nel 2018 quota 3 milioni, livello superato anche nel 2019. La percentuale sui dipendenti risulta nel secondo trimestre dell’anno superiore alla media Eurozona (17,2% contro il 15,9%). In Italia, inoltre, il lavoro a termine è per l’80% involontario contro il 51% dell’Eurozona e ha durata spesso molto breve.
Questo utilizzo di part time e tempo determinato involontario è plausibilmente utilizzato da una parte di imprese ai fini di competitività di costo e fa crescere la quota di lavoro povero nell’occupazione, sottolinea la fondazione Di Vittorio. Al basso tasso di occupazione italiano corrisponde un tasso di disoccupazione in calo, ma che resta più alto della media dell’Eurozona. Conseguentemente il tasso di inattività (al secondo trimestre 2019 in Italia del 34%) è di +7,6 punti percentuali rispetto all’Eurozona. Si tratta di circa 13 milioni di persone, di cui circa il 70% dichiara esplicitamente di non essere interessato a lavorare e dove si cela una quota di disoccupazione nascosta.
L’impatto sul mercato del lavoro di un Pil stagnante da ben cinque trimestri e del mancato recupero dei livelli precrisi si è per adesso materializzato in termini di peggioramento delle tipologie di lavoro (crescita part time e tempo determinato, flessione indipendenti) e di calo di ore lavorate più che sul numero assoluto di occupati. Ma, perdurando la fase di stagnazione, non si può dare per scontata questa tenuta in futuro.