Siamo gli ultimi cristiani del Duemila? È l’interrogativo che alla vigilia del Grande Giubileo del terzo millennio un teologo cattolico di fama mondiale poneva alla Chiesa, interessava l’universo cristiano sollecitato dal Concilio Vaticano II a riprendere il cammino dell’unità. Lo scandalo delle divisioni aveva segnato pesantemente l’intero primo millennio. Divisione insopportabile, un pugno nello stomaco alla credibilità della fede cristiana nel nostro tempo. Jean Marie Tillard, teologo ecumenico, è stato infaticabile assertore dell’unità senza la quale le Chiese non sono credibili. La coscienza di aprire una nuova era della Chiesa si era fatta pressante al tramonto del Novecento, ma nessuno poteva allora immaginare due papi in arrivo che avrebbero sparigliato il pensiero tradizionale dei cattolici a cominciare dal ruolo di papa.
L’era dei due Papi
Benedetto XVI ha ricalibrato la dottrina centrandola sull’amore e rotto il tabù di papa per sempre; Francesco, con un nome inedito per un papa, ha imbarcato sulla nave di Pietro i poveri mobilitando la Chiesa in difesa della loro dignità. Ha così risvegliato energie e alimentato sogni. La Lettera ai cristiani del Duemila – scritta nel 1999 dal teologo domenicano Jean Marie Tillard, all’oscuro del futuro imminente – toccava una questione secolare: la credibilità della fede cristiana. Non in astratto, perché il mondo di oggi crede molto meno ai maestri e ascolta volentieri i testimoni. Se i discepoli del Vangelo non testimoniano più quei valori, sbiadisce fino a scomparire lo stesso Gesù. La Lettera pungola la coscienza a non regolarsi più con le certezze consolatorie del passato. Occorre essere credenti in modo eloquente nel tempo presente. “Una cosa è certa – scrive Tillard – noi siamo inesorabilmente gli ultimi testimoni di un certo modo di essere cristiani, cattolici. Coinvolti nelle grandi mutazioni delle società umane in cui essa si incarna, la Chiesa è destinata inevitabilmente a mutare il suo volto e già se ne vanno delineando i nuovi tratti”. Lo scritto si apre con una visione sconvolgente che ricalca dubbi e angosce presenti ancora nell’umanità. Ogni epoca si interroga su Dio ritenuto responsabile dei mali che in certe circostanze sembrano insormontabili. Drammatico è parso, in particolare, il silenzio di Dio di fronte all’orrore della Shoah nella Seconda Guerra Mondiale. Allora spuntò anche tra i cristiani la stessa domanda degli ebrei: perché o Dio?
Il silenzio e il fascino di Dio
Il dialogo fino alla lite tra Dio e Giobbe è una costante del credente nella prova. Persino nella presente pandemia. Al perché dell’uomo Dio sembra rispondere con il silenzio. “Hai fatto di tutto perché non credessi più in te, perché arrivassi a dubitare di te”, il lamento di un ebreo morto sotto le macerie di Varsavia affidato a uno scritto in bottiglia, come quando si è naufraghi. Il ricordo di questo lamento apre la Lettera di Tillard. “Avviene oggi nel mondo qualcosa di molto particolare: è il tempo in cui l’Onnipotente distoglie lo sguardo da coloro che lo implorano”. Ma “credo nel Dio d’Israele, anche se ha fatto di tutto per distruggere la fede che ho in lui”. Quel frammento descrive la tentazione dell’uomo in ogni tempo: dubitare di Dio, mettergli in conto infelicità e mali che ci affliggono. La Lettera, davvero breve per una tematica tanto complicata, si aggrappa al nuovo inizio della sperata primavera inaugurata dal Concilio Vaticano II. Per capire il mondo di Dio, la categoria dell’onnipotenza va sostituita con la misericordia. È ancora attuale la domanda posta da Tillard? Certo che sì, ogni generazione è chiamata a una propria risposta. “Nel più profondo del suo desiderio l’umanità ha fatto alleanza con il Vangelo. Estirpatelo, un giorno, quando non ve l’aspettate più, rinascerà. Perché l’umanità non accetterà mai di essere senza speranza…Io credo sempre in te, anche malgrado te”. Il fascino di Dio resiste. Nonostante tutto.