Tommaso d’Aquino

Pensieri profondi nelle lettere di Tommaso d’Aquino. Da studente i compagni lo chiamavano “il bue muto” per la sua riservatezza ma sant’Alberto Magno suo maestro li rimbeccava affermando: “Voi lo chiamate il bue muto! Io vi dico che quando questo bue muggirà, i suoi muggiti si udranno da un’estremità all’altra della terra”. Ebbe ragione il maestro poiché san Tommaso d’Aquino frate domenicano (1225-1275), morto appena cinquantenne, ha lasciato una produzione filosofica e teologica impressionante per numero, innovazione, profondità e importanza.

Pilastro della cultura cattolica

Ha attraversato i secoli, tanto da diventare uno dei pilastri della cultura cattolica, umanistica, raccordando fede e scienza in dialogo con i massimi filosofi della classicità e della cultura islamica. Venerato nella Chiesa cattolica come il Dottore Angelico è l’autore della Summa Theologica. Altissimo ingegno e persona umilissima ha incredibilmente lasciato anche 18 Lettere in risposta a questioni poste da religiosi e laici su come comportarsi di fronte a problemi pratici della vita.

Le lettere

Tra queste lettere spiccano due in particolare. Una indirizzate alla duchessa Adelaide di Brabante che chiedeva come regolarsi verso gli ebrei del suo territorio; l’altra, ultima prima di morire, indirizzata al “Reverendo Padre in Cristo Signor Bernardo per la grazia di Dio venerabile Abate Cassinese”. La lettera è firmata “il fratello Tommaso d’Aquino suo devoto figliuolo” che “gli si protesta sempre ed in ogni luogo pronto all’obbedienza”. L’acclamato teologo del suo tempo già noto in Europa mantiene il suo stile dimesso, nonostante tratti questioni teologiche difficilissime legate alla comprensione del mistero di Dio. In questo caso alla prescienza di Dio nei riguardi della vita e della morte di ogni essere umano. “…Quando Iddio antivede una cosa, questa avverrà. Non possono stare queste due cose insieme, ciò che qualche cosa si antivegga da Dio, e la non sia. Se così fosse, la divina prescienza fallirebbe. E poi è al tutto impossibile, che la verità soffra falsità” e questo significano le seguenti parole del Beato Gregorio quando dice: “Abbenché l’onnipotente Iddio antivegga per la morte di ciascuno quel tempo in cui termina la sua vita, né alcun poté morire in altro tempo, se non in quello istesso, che fu da Dio antiveduto di morire. Perciocché non possono queste due cose marciare bene insieme, cioè che Iddio sappia innanzi che altri muoia in un tempo posto, e poi si muoia in un altro. Se così fosse, la scienza di Dio fallirebbe. Considerato poi l’uomo rispetto a sé, egli può morire in altro tempo. Chi pone in dubbio, che egli si è potuto morir prima passato di coltello, o di arsione, o finir la vita in un precipizio o strozzato? Questa distinzione è contenuta nelle seguenti parole di lui, perciocché soggiunge: se gli anni aggiunti al vivere di Ezechia furono quindici, il tempo di sua vita crebbe da quell’ora, in cui egli doveva morire. Sarebbe da stolido il dire, che altri meriti quello che è impossibile accadere. Egli adunque rispetto a sé poteva morire in quel tempo, ma in rapporto alla divina scienza non potevano queste due cose essere simultaneamente, cioè che ei morisse in un tempo, e Iddio innanzi sapesse lui dover morire in altro tempo”. “Volendo noi con fede chiara indurre queste verità nell’animo de’ dubbiosi, egli sarà bene porre qui la differenza tra l’umana e divina conoscenza. Poiché l’uomo è soggetto al mutamento e al tempo, nel quale e prima e dopo le cose hanno luogo, egli ne prende notizia successivamente, quali prima e quali dopo; e di qua nasce che raccordiamo il passato, veggiamo il presente, e prognostichiamo il futuro. Ma Iddio, come quegli che è fuori ogni mutamento siccome è detto da Malachia: “Io il Signore non mi muto” così si esclude ogni successione di tempo, né in Lui trovasi il passato, il futuro ma in un punto solo gli stanno dinanzi e il futuro, e il passato siccome egli stesso dice al servo Mosè: “Io sono quegli che sono!”. Per tal modo adunque egli ab eterno seppe, che tal uomo non si morrebbe in tal tempo, siccome a nostra maniera parliamo, mentre che a modo di lui sarebbe da dire, e’ vede morire, come io veggo Pietro sedere. Egli è poi chiaro, che da questo, che io veggo alcun sedere non gli nasca necessità di farlo. E impossibile, che queste due cose siano ad un tempo vere, e somigliantemente, che Iddio sappia, che alcuna cosa sarà, e la non sia: né per questo però le cose future accadono di necessità”. In sostanza la conoscenza divina è infinitamente superiore alla mente umana. Ma in altri scritti Tommaso parla dell’amore di Dio come sommo bene di cui l’uomo è chiamato ad essere partecipe.