L’immortale viaggiatore. Alcuni esperti di storia e letteratura chiamano così Marco Polo – ricorre quest’anno il 700° anniversario della morte – autore del celebre racconto dei suoi viaggi in Cina (Catai), nelle Tre Indie e “d’altri paesi assai”. Se nel XIII secolo non ci fossero state le lettere tra i Gran Khan mongoli e “messer lo papa” di Roma, forse anche i mirabolanti racconti del Milione di Marco Polo, in parte si sarebbero svolti altrimenti.
Il giovane Marco
Un messaggio di Kublai Khan nel quale chiedeva al papa l’invio di missionari cristiani per istruire i mongoli, affidato a Niccolò e Matteo Polo nel loro primo viaggio nel Catai, non arrivò a destinazione per la sopravvenuta morte del pontefice. Il secondo viaggio del 1271 nel quale i due Polo portarono con sé anche il diciassettenne Marco, figlio di Niccolò, subì ritardi in Medio Oriente proprio a causa di lettere papali da recapitare al Gran Khan. La loro carovana aveva da poco lasciato san Giovanni d’Acri dove avevano stretto amicizia con Tedaldo Visconti, quando vi furono richiamati. Il loro amico, nel frattempo eletto papa con il nome di Gregorio X, desiderava affidare loro un messaggio per il Khan. Il carteggio tra Roma e Pechino era anteriore al Milione. Si conferma, tuttavia, l’esistenza di una corrispondenza tra capi della cristianità e capi mongoli per un’alleanza che superasse le sanguinose conquiste di Gengis Khan.
La parola “pace”
Nel Milione si conferma una prassi già avviata nel 1245 dalla Bolla “Cum non solum” di Innocenzo IV che esortava il Khan Güyük a non attaccare le altre nazioni. La lettera gli venne recapitata nel 1246 dal francescano Giovanni da Pian del Carpine. Mancò l’intesa perché si scoprì che i due interlocutori intendevano in modo diverso la parola pace. Il Khan la intendeva come “sottomissione”. E così fu la riposta irricevibile di Güyük a Innocenzo: “Voi dovete dichiarare con un cuore solo: siamo a voi sottomessi, e vi sottomettiamo le nostre forze. Devi venire di persona con tutti i tuoi re, senza eccezioni, e portare tributi in omaggio. Solo a queste condizioni accetterò la vostra sottomissione. Se non seguirete gli ordini di Dio, e vi schiererete contro i miei ordini, vi riconoscerò come miei nemici”. Non se ne fece nulla.
I cento monaci
I rapporti continuarono con i successivi Khan. Il padre di Marco e suo zio Matteo avevano già compiuto un lungo viaggio a scopo commerciale tra il 1260 e il 1269 nell’Asia centrale fino alla città di Bukhara. In quel luogo avevano soggiornato per 3 anni. Furono poi invitati dai dignitari del Gran Khan Kublai a incontrare il proprio signore, l’imperatore del Catai. I fratelli Polo passarono per la Persia e quindi tutta la Cina per arrivare a Pechino, dove incontrarono infine il Gran Khan. Egli chiese loro di consegnare una propria lettera al papa. Cosa chiedeva Kublai al papa? Che gli fossero inviati 100 monaci per convertire i mongoli al cristianesimo. I due fratelli rientrarono a Venezia, ma non fu possibile consegnare le richieste del Gran Khan al papa che nel frattempo era morto e la nomina del successore tardò moltissimo. I fratelli Polo decisero quindi di intraprendere un altro viaggio verso la Cina portandosi il giovane Marco che non poteva immaginare che il viaggio sarebbe durato ben 24 anni. Proprio a san Giovanni d’Acri rifiorì per i Polo il ruolo di “postini” fiduciari tra il papa e il Gran Khan che strinse un’amicizia affettuosa con Marco. Quando dopo lunga permanenza i Polo vollero tornare in patria, Kublai Khan affidò loro lettere per il papa.
Marco Polo “postino”
In una delle prime edizioni del Milione si trova il racconto gustoso di Marco divenuto a sua volta “postino” fiduciario. “Quando lo grande signore, che Cablai avea nome, ch’era signore di tutti li Tartari del mondo e di tutte le province e regni di quelle grandissime parti, ebbe udito dei fatti de’ latini e dagli due frategli, molto gli pregò; e disse fra sé stesso di voler mandare messaggi a messer lo papa; e chiamò gli due frategli, pregandoli che dovessero fornire questa ambasciata a messer lo papa. Gli due frategli rispuosero: volentieri. Allora lo signore fece chiamare un suo barone che avea nome Caghotel e disseli che voleva ch’andasse co’ li due frategli al papa; quegli rispuose, volentieri, sì come per signore. Allotta lo signore fece fare carte bollate come gli due frategli e il suo barone potessero venire per questo viaggio, e impuosegli l’ambasciata che volea che dicessero; tra le quali mandava dicendo al papa, che gli mandasse sei uomini savi e che sapessero bene mostrare a l’idoli e a tutte altre generazioni di là, che la loro legge era tutta altramenti, e come ella era tutta opera del diavolo, e che sapessero mostrare per ragioni come la cristiana legge era migliore. Ancora pregò gli due frategli che li dovessero recare l’olio della lampana ch’arde al Sepolcro di Gerusalemme”.