Roma, 17 set – Il sistema globale di produzione di petrolio ha in sé le risorse per contenere gli effetti più negativi della situazione di emergenza nel breve termine, dopo l’attacco alla maxi raffineria saudita. È evidente però che se si dovesse protrarre troppo a lungo nel tempo, ne risentirebbe la tenuta dell’offerta e quindi l’effetto sui prezzi diverrebbe molto più significativo. Lo afferma l’Unione Petrolifera con una nota di commento sui possibili scenari dopo gli attacchi all’Arabia Saudita.

Con gli attacchi, si legge, è venuto meno il 5-6% della produzione mondiale di greggio. Uno degli ammanchi maggiori della storia, equiparabile solo a quello registrato nel 1973-74 in occasione della guerra del Kippur, a seguito della rivoluzione iraniana nel 1978-’79 e della guerra Iraq-Iran nel 1980-81(vedi tabella), quando i prezzi nel giro di poco tempo praticamente raddoppiarono.

Fortunatamente, rispetto ad allora la produzione oggi non è più esclusivamente concentrata nell’area Opec, ma risulta molto più distribuita a livello geografico. Attualmente gli Stati Uniti sono il primo produttore mondiale con oltre 17,4 milioni b/g, seguiti dalla Russia con 11,6 milioni b/g. Paesi che insieme coprono circa il 30% dell’offerta mondiale. Questo il motivo per cui i prezzi, almeno per il momento, hanno mostrato delle variazioni importanti restando comunque al di sotto dei picchi raggiunti negli ultimi due anni.

Segno che i mercati per ora appaiono regolarmente approvvigionati. Tuttavia la situazione rimane delicata perché bisognerà capire in quanto tempo l’Arabia Saudita tornerà realmente a pieno regime sul mercato (per ora ha dichiarato che 1,7 milioni b/g dovrebbero essere ripristinati nell’arco di pochi giorni).

Fino a quel momento l’equilibrio del sistema è collegato alla possibilità degli altri Paesi produttori di aumentare la propria offerta. Sulla carta dovrebbero essere disponibili, in ambito Opec e al netto dell’Arabia Saudita, circa 940.000 b/g di “spare capacity” (per “spare capacity” si intende l’offerta aggiuntiva resa disponibile entro 90 giorni).

Quali altri Paesi potrebbero colmare nell’immediato il restante gap. Gli Stati Uniti, che negli ultimi anni hanno registrato un forte incremento della produzione (2,5 milioni b/g in più nel 2018 e 1,7 milioni b/g già stimati per il 2019), difficilmente potranno aumentarla ulteriormente in modo significativo. Anche la Russia probabilmente non potrà aggiungere molto più di quanto ha tagliato nell’ambito dell’accordo “Opec Plus”, cioè 200-300.000 b/g.

A fare la vera differenza potrebbe essere l’Iran che è il Paese con la più ampia capacità produttiva inutilizzata, stimata intorno a 1,7 milioni b/g. Sull’Iran ad oggi però pesano le sanzioni sia americane che europee. Resta infine la carta del ricorso alle “scorte strategiche” che si potranno utilizzare solo nel caso in cui l’Arabia Saudita invocasse la “forza maggiore” e fossero seriamente messi a rischio gli approvvigionamenti.