Lettere nella storia: Gandhi e il coraggio dell’anima

Una lettera aperta “a tutti gli inglesi in India” firmata nel 1920 da Gandhi ha contribuito a rendere il Mahatma il principale promotore dell’indipendenza del suo grande Paese attraverso la protesta non violenta. Analoghe dinamiche alla presente attualità di conflitto intorno al quale oggi rischia di avvitarsi l’Europa e il mondo intero. In ogni confronto armato resta sempre in bilico la possibilità tra pace e irreparabili distruzioni. Leggere questo lungo testo meraviglia per l’energia spirituale e la fierezza con cui l’autore senza strepito, ma con la calma della ragione mette il Governo inglese con le spalle al muro.

Le parole di Gandhi

“Lo so – scrive Gandhi – che non vi preoccupa che possiamo combattere e togliervi con la forza lo scettro dalle vostre mani. Sapete che siamo impotenti in questo senso, dacché vi siete assicurati che fossimo incapaci di combattere in una battaglia aperta e giusta. Perciò il coraggio sul campo di battaglia è impossibile per noi. Il coraggio dell’anima rimane ancora aperto per noi. Lo so che reagirete anche a questo. Sono impegnato a invocare questo coraggio. La non cooperazione non significa altro che allenarsi all’abnegazione”. Tutte le vie vengono chiuse al di fuori di quella di riconoscere la dignità degli indiani che chiedono indipendenza e analogo riconoscimento al diritto di vivere liberi nel solco della loro cultura. Viene da chiedersi perché se fu possibile allora vincere pacificamente una lotta per la libertà e l’indipendenza tra forze disuguali in campo, oggi appare proibitiva una lotta analoga per la libertà. Forse perché oggi manca l’abitudine a soffrire per guadagnare traguardi di giustizia che invece era la disposizione culturale di Gandhi nel rispetto di ogni singola persona anche avversaria? “Non alzerei un dito contro di voi nemmeno se ne avessi il potere – si legge nella parte finale della lettera –. Desidero conquistarvi soltanto con la mia sofferenza. I fratelli Ali estrarrebbero senza dubbio la spada, se potessero, in difesa della loro religione e della loro nazione. Ma io e loro abbiamo fatto causa comune con il popolo indiano nel suo tentativo di esprimere le proprie emozioni e di trovare un rimedio al suo dolore”.

Le soluzioni del Mahatma

Gandhi si mostra profondo conoscitore della dialettica politica inglese e risponde esponendo il suo punto di vista che conta sul consenso popolare crescente per una giusta causa. “Siete alla ricerca di una soluzione per sopprimere questo crescente sentimento nazionale. Mi permetto di suggerirvi che l’unico modo per sopprimerlo è eliminarne le cause. Avete ancora il potere. Potete pentirvi dei torti fatti agli indiani…”. Segue elenco di varie possibilità, ma nulla di positivo potrà essere fatto “a meno che voi non consideriate ogni indiano come un vostro pari o fratello. Non vi sto chiedendo alcun potere. Vo sto solo indicando, da amico, una giusta soluzione a un serio problema. L’altra soluzione, ovvero la repressione, è una possibilità. Profetizzo che fallirà. È già cominciata. Il governo ha già incarcerato due uomini coraggiosi di Panipat per aver espresso liberamente le proprie opinioni. Un altro sta subendo un processo a Lahore per aver espresso opinioni simili. Uno nel distretto di Oudh è già in prigione. Un altro è in attesa della sentenza. Dovreste sapere che cosa sta succedendo tra voi. La nostra propaganda viene portata avanti in previsione della repressione. Vi invito rispettosamente a scegliere il modo migliore e a fare causa comune con il popolo indiano, di cui siete ospiti. Cercare di ostacolarne le aspirazioni è un atto di slealtà nei confronti del Paese”. E, meraviglia, prima di firmare, Gandhi si dichiara “il vostro fedele amico”.