Tempi non facili per l’Europa. Qualche resipiscenza della sua anima umanistica potrebbe venirle rispolverando gli ideali racchiusi nella IX Sinfonia in re minore, op.125 “Corale” di Ludwig von Beethoven. Monumento della musica di ogni tempo, come i critici amano definirla, la Nona si conclude con l’Inno alla gioia del poeta Friedrich Schiller adottato nel 1972 dal Consiglio d’Europa e utilizzato dall’Unione Europea dal 1986. Il compito di preparare tre versioni strumentali dell’Inno (solo piano, fiati e orchestra sinfonica) fu affidato a Herbert von Karajan, uno dei più famosi direttori d’orchestra del Novecento.
Duecento anni
La Nona compie quest’anno 200 anni. La prima dell’opera si tenne, infatti, a Vienna il 7 maggio 1824, con un grande successo di pubblico, presente Beethoven ormai completamente sordo. “La performance – racconta Thayer, amico del Maestro e testimone dell’esecuzione – era lungi dall’essere perfetta. Ci fu una mancanza di potenza omogenea, una scarsità di sfumature, una cattiva distribuzione di luci ed ombre. Tuttavia per quanto strana dovesse essere sembrata la musica al pubblico, l’impressione che suscitò fu profonda, e gli applausi che suscitò entusiastici con gli ascoltatori che a stento riuscivano a trattenersi… Beethoven, assorbito dalla musica che seguiva nella sua mente, era ignaro degli applausi… stava ancora fissando la sua partitura, quando la contralta Caroline Unger, la cui felicità si può immaginare, lo prese per la manica e diresse la sua attenzione alle mani che battevano e si agitavano per la gioia insieme a cappelli e fazzoletti. Poi Beethoven si rivolse al pubblico e si inchinò. Mai nella vita ho sentito applausi così frenetici e allo stesso tempo cordiali; ad un certo punto il secondo movimento della sinfonia è stato interrotto da applausi e c’è stata una richiesta di ripetizione; l’applauso scoppiò in una tempesta quattro volte. All’ultimo c’erano grida di evviva!”.
Le lettere di Beethoven
Senza la corrispondenza di Beethoven con gli amici, non si potrebbe capire appieno il senso e la portata della sinfonia nella vita dell’autore che la compilò a distanza di 11 anni dalle 8 precedenti. Il suo allievo Ries l’anno seguente alla prima informa con una lettera Beethoven dei successi della IX, “un’opera con la quale niente può reggere il confronto se Lei non avesse scritto niente altro che questo, sarebbe già diventato immortale”. La Nona Sinfonia – come documenta il vasto epistolario beethoveniano – prese forma molto lentamente nell’arco della sua vita segnata dal doloroso paradosso di una straordinaria ispirazione artistica e un crescendo della sordità. La Nona stessa è un capolavoro tra le ultime composizioni del maestro completate nella sordità totale. Nella lettera a F. Brunswick si legge: “Il mio regno è nell’aria: i miei suoni turbinano sovente come il vento – e altrettanto spesso mi turbinano nell’anima”. Fu composta nel triennio 1822-24 sugli spunti, pensieri e ripensamenti maturati dall’autore in un trentennio.
La nascita della Nona
I primi abbozzi risalgono al 1793 come si evince da una lettera del consigliere di Stato B. Fischenich del 23 gennaio a Carlotta Schiller, in cui si parla dell’intenzione del giovane maestro di «musicare strofa per strofa la Gioia di Schiller». Come l’Eroica fu una svolta nella musica del diciannovesimo secolo, così la Nona Sinfonia fu l’opera di Beethoven che più di ogni altra conquistò l’immaginazione dei romantici. Dal 1818 fu occupato dalla Missa solemnis e dalla Nona Sinfonia, finendola nel 1824. Non era mai stata composta – si disse – e non sarà mai più composta musica come questa. È la musica di un uomo che ha visto tutto e provato tutto, un uomo immerso nel suo mondo di silenzio e sofferenza, che non scrive più per piacere agli altri ma solo per giustificare la propria esistenza artistica e intellettuale. Di fronte a questa composizione – sostiene il critico musicale Harold Charles Schonberg – si è tentati di leggervi in una sorta di esegesi metafisica. La musica non è soltanto bella, o soltanto affascinante. È semplicemente sublime”. Faro splendente per i romantici. Rappresentava tutto ciò che ritenevano essere l’essenza di Beethoven: sfida alla forma, esortazione alla fratellanza, esplosione titanica, esperienza spirituale… pura musica, ma rappresenta chiaramente una lotta, ed è difficile ascoltare un grido di angoscia così monumentale senza leggervi dentro qualcosa”. “Non vivo che nella mia musica- lettera a Wengler 1801 – e appena una composizione è finita ecco un’altra è già principiata; scrivo spesso tre quattro lavori alla volta…Per me non esiste gioia più grande che darmi alla mia arte e prestarla… Voglio afferrare il destino per la gola, non deve assolutamente piegarmi. Oh, è così bello vivere mille volte la vita!”. Il tema della gioia prende forma lentamente. L’Ode di Schiller rimaneggiata trovò quindi posto nella Sinfonia. Rende esplicito il messaggio presente in realtà in tutto Beethoven: la Gioia illuministicamente sentita quale slancio vitale, Impegno ottimistico a superare i propri egoismi in una fratellanza di tutti gli uomini.