Lettere nella storia: la corrispondenza in poesia di Emily Dickinson

Somigliano a poesie, talvolta lo sono. Lettere private, semplicemente. Opere d’arte, scrittura forbita, sorvegliatissima, incredibilmente magistrale tanto da far considerare la sua autrice tra i più grandi lirici moderni. Emily Dickinson è il suo nome, nata nel 1830 ad Amherst piccolo centro del Massachusetts e lì morta nel 1886, dentro la sua casa, anzi nella sua stanza dove trascorse maggior parte della vita nella lettura, interrogando il suo mistero, il senso della morte, del bello e del perché circa l’umana esistenza. Visionaria – come dicono alcuni – simile a Teresa d’Avila, mistica del 1500. Più unica che rara nella galleria degli artisti che hanno cercato di infrangere i limiti del mistero umano, scrivendo lettere e poesie.

L’immortalità della lettera

In una lettera a Thomas Higgins, considerato uno degli amici più cari, Emily scrive: “Una Lettera/mi è sempre parsa/come l’immortalità, /perché non è forse la/mente da sola, senza/compagno corporeo?”. Una vicinanza stretta tra poesia e lettera tanto da rendere difficile la distinzione tra poesia e prosa, imbattendosi in lettere che sono vere e proprie poesie. In morte della madre scrive un pensiero in forma grafica di poesia: “Sento la sua morte/come tante/forme di Freddo -/a volte elettrico, / a volte paralizzante-/e poi una landa priva/di sentieri su cui l’Amore/non è mai passato”. Mente eccellente, fisico piuttosto malmesso. “Poi il passo come quello di un bimbo ed eccola – scrive Higginson in una lettera del 1870 a sua moglie, evocando il suo primo incontro nella stanza della Dickinson -, una donna minuta, bruttina, con due bande di capelli lisci e rossicci ai lati della faccia… una camicetta bianca di picché, impeccabile, uno scialle di lana blu, traforato. Mi venne incontro con due gigli, come fanno i bambini, me li mise in mano e disse: “Questo è il mio biglietto da visita”, con una vocina tutta spaventata, infantile, ansimante – e poi bisbigliò: “Mi perdoni, sono terrorizzata, non vedo mai estranei e a mala pena so cosa dico” – poi immediatamente cominciò a parlare, senza smettere – in maniera rispettosa – fermandosi di tanto in tanto per chiedermi di parlare al posto suo – ma poi ricominciando, immediatamente…Alcune cose ti sarebbero piaciute. Te ne scrivo qui di seguito qualcuna: “Le donne parlano: gli uomini tacciono; ecco perché ho paura delle donne”. “Mio padre legge solo la domenica – legge libri solitari e severi”. “Se leggo un libro e mi sento gelare tutto il corpo tanto che neppure il fuoco può scaldarmi, allora so che quella è poesia. Se provo la sensazione fisica che mi si sta appiccicando il cervello, allora so che quella è poesia. Sono questi gli unici due modi in cui la riconosco. Nessun altro”. “Come fa la gente a vivere senza pensare. Sono tanti nel mondo (li avrà visti per strada). Come fanno a vivere. Dove trovano la loro forza di vestirsi al mattino?”. “La verità è talmente rara che è deliziosa poterla dire”. “Per me la vita è estasi. Il fatto stesso di vivere mi dà grande gioia”.  Le ho chiesto se non avesse mai sentito il bisogno di un’occupazione, lei che non andava mai in nessun posto, che non riceveva nessuno, che non vedeva nessuno. E lei: “Non ho mai pensato di concepire neppure lontanamente la possibilità che avrei potuto, nel prossimo futuro, avvertire quell’esigenza” e ha aggiunto: “Penso di non aver ancora espresso ciò che sono in maniera sufficientemente forte”.

L’intreccio tra poesia e prosa

Nel 1870 la Dickinson aveva 40 anni. A 32 aveva composto la poesia sulla Bellezza considerata tra le sue più belle, intimistica e filosofica. “Morii per la bellezza, / ma ero appena/ composta nella tomba/ che un altro, morto per la verità, / fu disteso nello spazio accanto. / Mi chiese sottovoce perché ero morta. / Gli risposi “Per la Bellezza”. / “E io per la Verità, le due cose sono / una sola. Siamo fratelli” disse”. Appariva ormai chiaro l’intreccio quasi indistinto tra poesia e lettere dove lei incastonava aforismi e frammenti, puri diamanti. Alcuni esempi: “La tenevo così stretta nel pugno che l’ho persa disse il Bambino della Farfalla. Questa, di assai più vaste Catture, è l’Elegia”. “Ecco cos’è la vita – emergere di un Abisso per poi ritornarci, o no?”. “Gli amici sono il mio patrimonio. Mi perdoni dunque l’avarizia con cui li accumulo! Mi si dice che coloro che un tempo sono stati poveri hanno opinioni diverse sull’oro. Non so come capiti. Dio è meno sospettoso di noi, altrimenti non ci concederebbe amici, per paura che ci si dimentichi di lui! A volte credo proprio che le Grazie di un Paradiso a venire valgano meno di un Paradiso a portata di mano”. È una delizia da provare leggere le sue poesie (Raccolte in tre volumi) o le sue lettere, circa 2000. La morte, la natura, il mistero della vita, temi ricorrenti.