Roma, 23 ago – L’uomo era seduto nella sua auto, probabilmente di guardia, a meno di 300 metri da un’affollata stazione. Una cinquantina d’anni, in un tardo pomeriggio di Kobe, un’importante città portuale del Giappone tra Tokyo e Osaka. Improvvisamente il killer si è avvicinato su un ciclomotore e gli ha sparato tre colpi di pistola, tutti a segno. Trasportato in ospedale, lì è morto. Una classica esecuzione che in Italia diremmo di stampo mafioso. In Giappone fa pensare alla yakuza, la criminalità organizzata nipponica. E il pensiero è giusto, perché proprio nell’ambito mafioso sembra essere maturato questo omicidio, avvenuto mercoledì sera, nella città in cui ha sede il più grande gruppo yakuza del Giappone, il famigerato Yamaguchi-gumi. Un segno di debolezza, in una mafia che è in chiara crisi di vocazioni.
La vittima, di cui l’agenzia di stampa Kyodo non fornisce il nome, era infatti una persona affiliata al gruppo e potrebbe essere stata uccisa nell’ambito delle fibrillazioni interne a esso. Lo Yamaguchi-gumi nasce nel 1915 tra gli scaricatori del porto di Kobe. Prende il nome dal suo fondatore, Harukichi Yamaguchi, che fu il primo “kumicho”, capo del clan, cioè il Padrino. Attualmente il “kumicho” si chiama Kenichi Shinoda, ha 77 anni ed è originario dell’isola di Kyushu, non di Kobe. E’ lui l’uomo che dal 2005 guida il conglomerato, con l’ambizione di allargare la sua influenza in tutto il Paese.
In questo senso, vanno collocate anche “operazioni simpatia” come quella fatta nel 2011, quando lo Yamaguchi-gumi s’impegnò nell’inviare aiuti alle popolazioni colpite nel Tohoku dal grande maremoto e dall’incidente nucleare di Fukushima. Un tentativo di evocare una vecchia fama di Robin Hood dei mafiosi giapponesi, risalente in realtà all’epoca in cui la yakuza era vista da molti come una specie di lega che aiutava i poveri e i marginali.
Oggi però le cose non stanno più così. L’affiliazione alla yakuza sono in continuo calo da almeno 14 anni. Secondo l’Agenzia nazionale di polizia nipponica, nel 2018 gli affiliati a tutti i gruppi yakuza erano 30.500, ben al di sotto dell’impressionante numero di 184mila dei primi anni ’60 del secolo scorso. In un solo anno, poi, il calo di affiliati è stato di 4mila unità. Resistono blocchi importanti, come il Sumiyoshi-kai (Tokyo) con i suoi 4.900 affiliati e l’Inagawa-kai (Tokyo). Ma il più importante continua a essere, appunto, lo Yamaguchi-gumi con 9.500 membri. Questo ultimo dato, però, non tiene conto di quanto avvenuto negli ultimi anni. Questo venerando gruppo criminale, infatti, si è spezzato dapprima in due tronconi, poi in tre.
Dapprima ad agosto 2015 si è sfilato un troncone del gruppo a Kobe, guidato da Kunio Inoue. Nonostante ci siano summit per cercare una riconciliazione, questa frattura non è mai stata sanata e il nuovo nato Kobe Yamaguchi-gumi ha portato oltre 2mila affiliati via dal troncone principale. Come se non bastasse, nel 2017 anche il Kobe Yamaguchi-gumi subisce una scissione e nasce il Ninkyo Yamaguchi-gumi guidato Yoshinori Oda. Queste fibrillazioni e sommovimenti non sono pacifici e negli anni, pur con gli standard del sicuro Giappone, ci sono state uccisioni, assalti. Una guerra di mafia insomma.
I motivi di questo indebolimento, che ha portato alla frammentazione, sono molteplici. Il primo di tutti è la pressione dell’opinione pubblica, sempre meno affascinata e sempre più intollerante verso la presenza fastidiosa degli yakuza. E’ capitato che si siano creati comitati di quartiere per opporsi alla presenza di uffici – perché i gruppi yakuza hanno uffici raggiungibili come normali aziende – nelle aree residenziali.
Il secondo punto è la pressione dello Stato nelle sue diverse articolazioni. Per esempio una nuova legge ha reso illegale pagare la protezione agli yakuza, e il racket è uno dei principali business. Un’altra norma ha reso i padrini responsabili per ogni omicidio o ferimento avvenga per mano degli associati, impedendo così agli “oyabun” di prendere le distanze dalle azioni dei loro sottoposti.
C’è stata inoltre anche un’intelligente azione degli enti locali. Uno dei casi più famosi è quello di Fukuoka, nel Kyushu, dove recentemente è stato messo in piedi uno schema di incentivi economici per i mafiosi che vogliano abbandonare le gang. Tutta questa pressione ha evidentemente diminuito gli introiti dei gruppi yakuza, che notoriamente si arricchiscono con il racket, la prostituzione, il gioco d’azzardo (dal cui mondo viene anche il nome “yakuza”) e il traffico di droga.
L’altra faccia della medaglia, rispetto alle defezioni, è la perdita di autorità dei capi. La frammentazione in corso, con gruppi in rotta tra loro, rende meno efficaci le punizioni tradizionali, che un tempo avrebbero portato a morte certa. Il rito d’affiliazione implica che il novizio beva sake con il boss, l’oyabun, ricevendo la bevanda alcolica da lui (sakazuki). Questo rito crea un simbolico rapporto tra padre e figlio, quindi lasciare il gruppo vuol dire tradire il padre. Una scomunica – “zetsuen” – voleva dire la fine. Ma oggi c’è sempre la possibilità di trovare rifugio in un gruppo rivale, quindi l’autorità del padrino si è affievolita.