Anche il risparmio ha un suo tempo. Tutte le cose ce l’hanno. E il risparmio ne ha sempre avuto bisogno, perché ci vuole un tempo per seminare e uno per raccogliere, tutto il tempo che ci vuole per crescere e diventare grandi. Adam Smith diceva che “il principio che induce a risparmiare è il desiderio di migliorare la propria condizione. Colui che risparmia sul reddito accumula un capitale che consentirà di impiegare altre persone in attività produttive, innescando un processo di sviluppo che si oppone a quello di impoverimento e di degradazione”. È questo che hanno fatto le Poste. Hanno cominciato dal basso, raccogliendo i soldi della gente comune, dal popolo – perché i ricchi li mettevano nelle banche – e hanno posato lira su lira, mattone su mattone, senza mai disperderli o renderli inutili, aiutando a costruire strade e ferrovie, a unire il Paese, e poi a ricostruirlo, dopo le guerre e i disastri, a inseguire i suoi sogni, a farli diventare veri.
Una realtà in crescita
Oggi i numeri dicono che questa realtà continua a crescere, che l’incubo del virus non l’ha fermata. Anzi. Come sottolinea Matteo Del Fante, l’Amministratore Delegato e Direttore Generale di Poste Italiane, “tutte le nostre attività hanno ripreso ancor più slancio nella crescita rispetto alla fase precedente la pandemia, a dimostrazione della validità del nostro modello di business diversificato”. L’aumento dei depositi è stato consistente. Il patrimonio delle linee di business di BancoPosta Fondi si attesta, al 30 settembre del 2021, su 117,6 miliardi di euro. E nella classifica del mercato italiano del Risparmio Gestito, Poste Italiane si colloca al quinto posto con una quota di mercato di circa il 4,5 per cento. Ma questa crescita generale dell’azienda fa rivedere anche gli obiettivi di redditività del 2021 del Gruppo Poste: ebit previsto a 1,8 miliardi di euro e utile netto a 1,3, poiché i ricavi sono aumentati addirittura del 12 per cento nei primi nove mesi dell’anno.
Un popolo vale quanto risparmia
Questi numeri non sono aridi. Dietro al risparmio ci sono valori importanti, la fiducia, la sicurezza. E davanti, ci sono le cose da fare, per migliorare il Paese. Aveva ragione Adam Smith. Ma per arrivare fino a qui ci sono voluti tempo e lavoro, dentro a questo filo indelebile che unisce le Poste all’Italia. Il tempo non è solo quello di una clessidra, è fatto di pazienza e di coraggio, e insegue sempre qualcosa, rincorre altro tempo, e un altro mondo che deve ancora venire, a volte. Quando Poste cominciò la raccolta del risparmio, dovette aspettare dieci anni perché il progetto di Quintino Sella diventasse legge. C’era chi temeva che lo Stato ficcasse troppo il naso nell’economia del Paese, e poi c’erano le banche e le casse di risparmio che non volevano avere tra i piedi un concorrente pericoloso nella raccolta dei soldi. In quei dieci anni il progetto vagò da una Commissione all’altra, dalla Camera dei deputati che lo approvava al Senato del Regno che lo bocciava. Alla fine però, nel 1875, la legge venne approvata. Dal primo gennaio del 1876, gli italiani poterono rivolgersi alle Regie Poste per far fruttare i propri risparmi. Dietro a questo però non c’era solo la volontà dell’accumulo fine a se stesso. La legge voleva educare gli italiani, perché il risparmio era direttamente collegato alla società che stava nascendo. “Un popolo vale quanto risparmia”, disse Quintino Sella.
Un collante fra la gente e l’Italia
Quelli che si rivolgono alle Poste sono operai, impiegati, contadini. L’importo minimo che si può versare è di una lira. Come oggi, non ci sono costi di gestione, versamenti e prelievi sono gratuiti. I libretti si possono aprire in 600 uffici, che diventeranno duemila alla fine dello stesso anno e cinquemila nel 1900. Alla fine del 1876 sui libretti di Risparmio delle Regie Poste sono depositate 100.000 lire, al tasso di interesse netto del tre per cento. Nel 1900, più di 680 milioni. I libretti sono 346 in quell’anno di inizio secolo. Dieci anni dopo 900. Nel 1990 saranno dodici milioni e 222mila. Più quasi trenta milioni di buoni postali fruttiferi. Ma non è solo risparmio quello delle Poste. Le somme raccolte nei Libretti di Risparmio servono per finanziare le opere pubbliche, tutte quelle infrastrutture che contribuiscono a unire il Paese appena nato dopo il Risorgimento (strade, ferrovie, reti telegrafiche e poi telefoniche) e a migliorare la vita dei cittadini (scuole, uffici, ospedali). È questo collante che salda il legame fra la gente e l’Italia, attraverso un’azienda che ne ha accompagnato la Storia. E lo si vedrà ancora meglio dopo la Seconda guerra mondiale, quando grazie alla raccolta del Risparmio Postale (dal 1925 ai libretti si sono aggiunti i Buoni Postali Fruttiferi) lo Stato sostiene la rinascita di un Paese in ginocchio, distrutto dalle bombe, finanziando importanti progetti di edilizia popolare e sostenendo il rilancio dell’industria meccanica. E poi quando il cielo e gli errori dell’uomo colpiranno i nostri paesi e le nostre città, sarà ancora così che avremo la forza per ripartire, dopo il Polesine, il Vajont e l’alluvione di Firenze.
Il tempo della raccolta
Il risparmio è quello che ci salva, alla fine. Negli anni del boom contribuisce a realizzare i nostri sogni, a inseguire il benessere, i suoi miraggi e le sue comodità, anche i suoi lussi. Ma col passare del tempo, tante cose sono cambiate, e adesso non è più solo il popolo a consegnare i suoi risparmi alle Poste. La platea s’è allargata, e il libretto s’è scrollato di dosso l’immagine di un prodotto che si rivolgeva soprattutto ai ceti popolari. Però la missione è rimasta la stessa. I soldi del popolo sono sempre tornati al popolo, e continuerà a essere ancora così. Per questo, quando c’è una guerra, come la pandemia, quello resta il posto più sicuro. Perché quei libretti erano nati per farci cambiare. Erano le chiavi di una porta. Ci insegnavano che nel nuovo mondo bisognava fare così. In quel lontano 1876, le maestre arrivavano in classe con i moduli, i registri e le istruzioni per aprire i libretti postali. I bambini depositavano i centesimi, poco alla volta, fino a raggiungere una lira. Allora la maestra gli consegnava il libretto e gli spiegava che i soldi non vanno buttati via. Ma devi farci qualcosa per diventare migliore. Perché c’è un tempo per tutto. Un tempo per seminare e un tempo per raccogliere.
Leggi qui tutte le notizie dello speciale “160 anni di Poste Italiane”