Roma, 13 mar – Nel 2017 in Europa, quasi un occupato su dieci (9,4%) di età superiore a 18 anni, secondo i dati dell’Istat, è risultato a rischio di povertà dopo i trasferimenti sociali. Tale rischio di è fortemente influenzato dal tipo di contratto: è quasi tre volte maggiore per i dipendenti con lavori temporanei (16,2%) rispetto a quelli con lavoro a tempo indeterminato (5,8%).
A partire dal 2010 la quota di occupati a rischio di povertà (8,3%) è in continuo aumento, anche se nel 2017 si registra una battuta di arresto, con un calo di 0,2 punti percentuali rispetto all’anno precedente (era 9,6% nel 2016). L’aumento dei cosiddetti working poor può essere ricondotto anche all’estensione del part-time involontario e, più in generale, a un calo delle ore lavorate annue riconducibili al maggior ricorso a rapporti di lavoro discontinui. Questo fenomeno è presente in tutta l’Ue ma in Italia risulta di maggiore intensità.
Sempre nel 2017, tra gli Stati membri dell’Ue, la quota più elevata di occupati a rischio di povertà è stata registrata in Romania (17,4%), seguita da Lussemburgo e Spagna (rispettivamente 13,7 e 13,1%). L’Italia si colloca in quinta posizione (12,2%) segnando, in controtendenza con la media europea, un incremento di 0,5 punti rispetto all’anno precedente. In Finlandia (2,7%) si registra il valore più basso.
A partire dal 2013 i maggiori incrementi sono stati registrati in Ungheria (3,2 pp) Bulgaria e Spagna (rispettivamente 2,7 e 2,6 pp); sempre nello stesso periodo in Italia l’incremento è stato di 1,2 pp. Di contro le maggiori riduzioni sono state osservate in Finlandia e Cipro (1 pp).