Roma, 3 ott – Dal 2000 in poi il numero degli iscritti agli albi forensi è sempre aumentato, ma con tassi d’incremento sempre più contenuti. Se nel 2000 la variazione degli iscritti rispetto all’anno precedente era stata pari all’8,7%, la crescita tra il 2017 e il 2018 è stata solo dello 0,3%. E il reddito medio degli avvocati, dopo le variazioni negative soprattutto negli anni 2010-2014, è aumentato dello 0,5% tra il 2016 e il 2017.
Questi sono i principali risultati del “IV Rapporto Censis sull’avvocatura italiana 2019” realizzato dal Censis per la Cassa Forense, che è stato presentato oggi a Roma da Giorgio De Rita, Segretario Generale del Censis, e Andrea Toma del Censis, e discusso da Nunzio Luciano, presidente della Cassa Forense.
Quasi il 30% degli avvocati ha dichiarato un fatturato in crescita nel 2018 rispetto all’anno precedente. Per il 34,8% è rimasto invariato, mentre il 35,6% ha subito un ridimensionamento. Tra le donne percentuale in sofferenza scende al 34,1%, contro il 36,7% degli uomini. Tra le professioniste la condizione di stabilità o di miglioramento riguarda il 65,9%. Il fatturato è salito soprattutto per gli avvocati che esercitano da meno tempo o che sono più giovani d’età: il 42,5% degli under 40 anni ha dichiarato un incremento nel 2018, mentre tra i più anziani la quota scende sotto il 20%. Per i prossimi due anni il 31% degli avvocati prevede un miglioramento dell’attività, mentre il 42,1% è più prudente, prevedendo stabilità. Tra le donne il 32,7% prevede un miglioramento, contro il 29,7% degli uomini. I più ottimisti sono i più giovani, sia in termini di anzianità professionale (il 50,4% degli avvocati con meno di dieci anni di attività), sia in termini di età anagrafica (il 49,9% degli under 40 anni).
Il 61,1% degli italiani chiede interventi concreti per ridurre la durata dei processi civili e penali. Dello stesso avviso sono gli avvocati. Nonostante la recente riforma dei tempi di prescrizione, il 56,2% dei professionisti dichiara che è necessario procedere a una riorganizzazione generale dei processi e del sistema giudiziario, all’interno della quale affrontare anche il tema dell’eccessiva durata dei processi.
Il quadro delle garanzie dell’imputato è ritenuto eccessivamente indulgente dal 57,6% degli italiani. Solo il 28,6% lo considera giusto e appena il 4,7% troppo punitivo. Tra i nuovi reati, e quelli per cui è stato decretato un inasprimento delle pene, gli italiani assegnano il maggiore livello di pericolosità sociale al traffico di organi prelevati da persona vivente (39,9%), all’inquinamento ambientale e al disastro ambientale (35,3%), all’omicidio stradale (33,7%). Il nostro sistema di giustizia è troppo benevolo nei confronti di politici e amministratori corrotti: lo pensa l’82% degli italiani.
Si chiede una maggiore severità nei confronti di stupratori e pedofili (78,4%), ladri di appartamento e rapinatori (76,4%), molestatori (76,4%) e responsabili di reati ambientali (76,1%). Superano di poco il 30% gli italiani che ritengono giusto il trattamento riservato a chi commette reati, nel caso di appartenenti alle organizzazioni criminali e i sequestratori (30,8%), i terroristi (30,6%), i diffamatori attraverso i media (30,0%). Al contrario, il 40,9% giudica troppo punitivo il trattamento nei confronti di chi eccede nella legittima difesa. Il 16,4% considera severo il trattamento nei riguardi degli immigrati irregolari.