Uno dei carteggi più famosi di tutti i tempi è probabilmente quello tra due veri e propri “giganti” dell’umanità, ovvero lo scrittore russo Lev Tolstoj e Gandhi. Fu quest’ultimo a cercare per primo il contatto con l’autore di “Guerra e Pace” nel periodo in cui il Mahatma era impegnato a difendere gli immigrati indiani dal sopruso dell’obbligo di schedatura nella provincia sudafricana del Transvaal. Tra le missive più significative è quella che Tolstoj inviò il 7 settembre 1910, ovvero due mesi prima della sua morte e nella quale si sottolinea che “l’uso della forza è incompatibile con l’amore”.
La rinuncia all’opposizione violenta è, molto semplicemente, la legge dell’amore depurata da sofismi. L’amore, ovvero l’aspirazione dell’anima dell’uomo alla comunione con le altre anime, e la mansuetudine reciproca che ne deriva, è la più elevata, la sola legge della vita. Come ogni uomo sente nel fondo del cuore. E vede, più chiaramente che mai, nei bambini. E sa, finché non resta impigliato nella rete mendace dei pensieri mondani. (…) Come tutti gli esseri umani devono sapere, l’uso della forza è incompatibile con l’amore come regola suprema di vita. E, se l’uso della violenza appare ammissibile anche in un solo caso, la regola in sé appare vanificata. (…)
I versi del poeta dal fronte
Tra i testimoni d’eccellenza che ebbero la (s)ventura di assistere, in questo caso attivamente, alla prima guerra mondiale ci fu anche Giuseppe Ungaretti, che dalla trincea scrisse versi memorabili. Meno note, ma egualmente importanti, sono anche le sue lettere dal fronte, attraverso le quali si ha una la possibilità di percepire, praticamente “in presa diretta”, a quella che fu la sua esperienza al fronte. Qui riportiamo la cartolina inviata il 31 dicembre 1915 allo scrittore, poeta e saggista Giovanni Papini.
Caro Papini, ho aspettato con desiderio un suo biglietto. Sapesse in che deserto mi trovo. Ho ricevuto da Parigi “Le journal des ecrivains”. È la sola carta stampata che mi sia pervenuta, da settimane a darmi notizia di morte. Ho fatto le mie giornate di trincea, sulla cresta d’un monte, affogato nel fango. Ma questo sarebbe nulla. La guerra attuale io l’ho augurata. È altro che mi deprime. Tornato in Italia ne scriverò. Per ora, tranne quando trascino il mio capo riottoso a combattere, sono un decaduto, tuo Ungaretti.