Sopra il vetro smerigliato della porta la scritta a caratteri cubitali dice con fervore autoritario “Direttore provinciale”, ma i tempi sono cambiati e nella grande stanza con le tre finestre e il vecchio tavolo rettangolare in legno sul fondo. Eppure, anche qui, in questo monumentale e imponente Palazzo delle Poste di Gorizia, il passato è un simbolo da conservare, come una storia di famiglia, con i suoi valori di appartenenza. Dentro questa azienda proiettata nel futuro, c’è una narrazione antica che non serve solo a riconoscere da dove veniamo, ma anche quello che siamo. Certo, sono rimasti i tubi vuoti della posta pneumatica e non ci sono più i bussolotti da far viaggiare, e da quando è partita l’automazione lo sportello al secondo piano all’Ufficio Vaglia, dove i dipendenti si mettevano in coda per ritirare lo stipendio in contanti, è stato murato. Negli Anni ’80, quando vennero assunti moltissimi giovani, questo non era solo un posto di lavoro, ma anche di sentimenti: in tanti si sono conosciuti e sposati qui dentro.
Il segno dei tempi
Adesso il palazzo è pieno di sportelli finanziari e lungo i corridoi arriva solo il silenzio ovattato e so uso del web. Nel cortile, dove prima ammucchiavano anche disordinatamente i pacchi, ci sono le tre Panda gialle delle Poste, e non ci sono più i portalettere che lo riempivano di voci. C’era anche una vigna rampicante e raccoglievano l’uva. Non è rimasto niente di questo. Non ci sono nemmeno le code giù al pianterreno, perché la gente oggi parte da casa e arriva qui con il biglietto elettronico, con l’app scarica l’appuntamento allo sportello, inserisce il proprio Postamat e la macchina lo riconosce. La stanza del Direttore di filiale raccoglie davvero oggetti e memorie che raccontano la nostra vita, non solo quella del Palazzo. Sullo scrittoio nell’angolo, di quelli dove la gente si appoggiava per vergare le lettere, c’è sopra uno spesso quaderno con la copertina grigia – “Personale. Riservato” – con dentro la carta assorbente, per pulire le macchie rosse e blu che lasciava l’inchiostro. Dei fogli del 1938 in carta tirata a mano sono incorniciati sulle pareti, scritti in tedesco e in italiano sotto il titolo “Notificazione dell’i.r. Governo del litorale concernente le competenze per la condotta di posta”. Il vecchio tavolo rettangolare in legno sul fondo, con i piedi che richiamano le colonne esterne, finisce per riassumere un po’ l’imponenza del luogo.
Opere d’avanguardia
Molti gli affreschi che nobilitano questo edificio: la “Danae fecondata dall’oro (da Giove)” di Edoardo Del Neri, che contempla sullo sfondo, per simbolismo, gli elementi avanguardistici portanti della raffigurazione futurista di quegli anni: gli aerei, i tralicci, i ponti, le gru. Il Palazzo non è importante solo come monumento dell’architettura razionalista, ma anche per le opere di rinomati artisti che conserva soprattutto all’interno. Le prime che si vedono sono le Vittorie alate, commissionate a Domenico Ponzi. All’origine, c’era un fante in bronzo sdraiato sotto, che però nel 1942 fu preso per essere fuso e donato alla Patria. La stessa sorte era toccata alla statua di Santa Gorizia, questa all’esterno dell’edificio all’altezza del secondo piano: anche lei in bronzo, anche lei fusa per la Patria. Nel 1947 fu sostituita da una copia in marmo di Carrara, che è quel- la che si vede adesso.
Dentro la Torre
La Torre dell’Orologio racchiude al suo interno la scala principale dell’edificio, che permette l’accesso all’ufficio del Direttore di filiale e rappresenta il fulcro dell’immobile, il punto d’incontro dei due corpi, «elemento di riferimento visivo per la cittadinanza», come annota Scherlich. Sulle pareti interne ci sono le opere di grande suggestione firmate da Guido Cadorin, dal titolo “Le guerre producono vittime”, anche queste come tutte le altre commissionate dal Regime. L’artista non era uno qualunque: fu il decoratore ufficiale del Vittoriale, scelto e voluto da Gabriele D’Annunzio. Dentro l’edificio, invece, al piano terra, dove c’era il telegrafo – men- tre adesso è diventata una sala molto accogliente dedicata alle consulenze – c’è il monumentale mosaico di Matilde Festa Piacentini, moglie del famoso architetto Marcello Piacentini, raffigurante San Cristoforo. Nello spiazzo destinato al prelievo automatico del denaro, Pericle Gentile ha immortalato i santi Ilario e Taziano, protettori della città di Gorizia. L’opera forse principale si trova al terzo piano, appoggiata alla parete, nella sala conferenze, un olio su tela di 134 cm per 404, “Treno in corsa”, di Guglielmo Sansoni detto Tato, che si distingue per il suo dinamismo compositivo, in totale sintonia con il linguaggio del movimento futurista.