Una delle più celebri lettere sulla felicità conta poco più di 1700 parole e 124 righe. Epicuro, suo autore, fondatore in Atene del Giardino dei pensieri, fu un filosofo coevo di Alessandro Magno e nel suo tempo godette di consistente prestigio tra i saggi di filosofia e di scienza. A noi sono giunti echi e frammenti del suo pensiero. Nella vulgata popolare epicureo è diventato, purtroppo, sinonimo di gaudente dissoluto e improduttivo per la politica e per il bene sociale. Il pensiero di Epicuro è stato invece di tutt’altro spessore etico. La sua Lettera è come un pacco a sorpresa: contiene altro rispetto all’attesa.
Il senso di esistenza felice
Maestro di saggezza seppe unificare l’etica e la conoscenza del cosmo, cogliendo le trasformazioni del suo tempo e anticipando i secoli della scienza, Epicuro venne tramandato ai posteri, studiato e celebrato in particolare per la sua Lettera a Meneceo, più nota come Lettera sulla felicità. Ma qui è la sorpresa per tanti superficiali che pensano di trovarvi i segreti di una vita dissoluta quale fonte di piaceri scapigliati. Fonte di fascino del proibito. Aspettative mirabolanti per epicurei razzolanti e lettura perciò deludente, perfino indisponente per chi immaginava orge e festini. Quale scossa infatti può produrre in animi gretti, ruminanti egoismo, il poter percepire il senso di un’esistenza felice legata alla conoscenza? Nella Lettera di Epicuro vince l’equilibrio e il buon senso anche nell’uso del piacere che non degrada l’uomo ma rende più vivibile la vita. Il primo consiglio di Epicuro ai cercatori di felicità è che ogni età è indicata per essere felici. Nessuna preclusione se il bene dell’anima coincide con filosofare senza stancarsi. Come dire che l’intera vita deve spendersi nel ricercare, praticare la saggezza e crescere nella conoscenza. “È bene riflettere sulle cose che possono farci felici: infatti, – si legge nella Lettera – se siamo felici abbiamo tutto ciò che occorre; se non lo siamo, facciamo di tutto per esserlo”. Secondo Epicuro ci sono dei princìpi “necessari, fondamentali per una vita felice”. Non sono tanti né impossibili. Ma sono controcorrente con la superficialità in agguato nel nostro presente.
La proposta di Epicuro
“Per prima cosa tu devi considerare la divinità come un essere indistruttibile e felice, così come comunemente gli uomini pensano degli dei; non attribuire quindi nulla alla divinità che contrasti con la sua immortalità e la sua beatitudine, e ritieni vero invece tutto ciò che ben si accorda con la sua felice immortalità”. E poi un modo che affranca l’uomo dalla paura della morte, la verità sul fine vita più esiliata dalla nostra società materialistica e progredita. “Il più temibile dei mali, la morte, – garantisce Epicuro – non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte non ci siamo più noi. […] La maggior parte delle persone, però, fuggono la morte considerandola come il più grande dei mali, oppure la cercano come una liberazione dai mali della vita. Il saggio invece non rifiuta la vita e non ha paura della morte, perché non è contro la vita ed allo stesso tempo non considera un male il non vivere più”. Il passaggio forse più attraente riguarda il piacere “principio e fine di una vita felice”. “Quando diciamo che il piacere è il bene completo e perfetto, non ci riferiamo affatto ai piaceri dei dissoluti, come credono alcuni che non conoscono o non condividono o interpretano male la nostra dottrina; il piacere per noi è invece non avere dolore nel corpo né turbamento nell’anima. Infatti non danno una vita felice né i banchetti né le feste continue, né il godersi fanciulli e donne, né il godere di una lauta mensa. La vita felice è invece il frutto del sobrio calcolo che indica le cause di ogni atto di scelta o di rifiuto, e che allontana quelle false opinioni dalle quali nascono grandissimi turbamenti dell’animo. La prudenza è il massimo bene ed il principio di tutte queste cose. Essa insegna che non ci può essere vita felice se non è anche saggia, bella e giusta; e non v’è vita saggia, bella e giusta che non sia anche felice. Le virtù sono infatti connaturate ad una vita felice, e questa è inseparabile dalle virtù”. Strana davvero la proposta di felicità di Epicuro. Ma intrigante.