Si sentiva vecchio Emmanuel Mounier, grande intellettuale cattolico francese morto nel 1950 per infarto a 45 anni. Autore di varie opere sul personalismo, è considerato tra i maestri più importanti del pensiero sociale cristiano del Novecento. Salute cagionevole, vita breve ma intensa e feconda di iniziative culturali di resistenza al qualunquismo, tra cui merita ricordare la celebrata rivista Esprit – soppressa dal regime di Vichy collaborazionista con gli occupanti nazisti – sguardo critico per la comprensione degli eventi in un periodo tragico per la Francia e l’Europa. Dal cattolicesimo democratico italiano Mounier è considerato un punto di riferimento per l’impegno sociale animato da coerenza con il pensiero cristiano senza bigottismi. Del dolore che non lo ha risparmiato, ne parla specialmente nella sua corrispondenza con familiari, conoscenti, compagni di lotta e di ideali. Si è confrontato con il dolore, una compagnia umana che sparge timore e provoca rifiuto sino alla bestemmia. Lui si è messo dalla parte di un Crocifisso non qualunque dal nome Cristo. Tutti prima o poi nella vita lo incontrano ed è il momento del rifiuto o della comprensione del mistero che ci sorpassa tutti; anche le Chiese cristiane ne sono sconvolte se non si fanno convertire dalla croce.
La sofferenza famigliare
Dolore ruvido, accettazione pensosa, non banale. Nelle Lettere sul dolore Mounier sparge semi della vita cristiana che sarà disegnata dal concilio Vaticano II quindici anni dopo la sua morte. E spunti che saranno elaborati con una sconvolgente maestria da un gradissimo teologo protestante nel 1972 nel volume Il Dio Crocifisso. “La croce – sono le primissime parole del volume di Jurgen Moltmann – non è amata e non può esserlo. E tuttavia soltanto il crocifisso procura una libertà capace di trasformare il mondo, perché essa non teme più la morte”. Particolarmente toccanti sono le lettere alla moglie Paulette e agli amici in cui elabora il dolore per la malattia e la morte a cinque anni della figlia Francoise, ma colpiscono al cuore anche le riflessioni che Mounier propone davanti a ogni morte e a ogni dolore che segnano la vita di ognuno. La sua accettazione non è resa, ma un mettersi in ascolto del mistero che ci sorpassa perché potremo comprenderlo solamente nella vita dopo la morte. “Sono appena arrivato in camera –scrive il 17 ottobre del 1939 alla moglie – Salendo nella penombra, ho pensato alle nostre prove. Come realizziamo poco e male la condizione cristiana del viator, il viaggiatore. Chi procede soltanto in vista di uno scopo, chi vive solo per uno scopo, disprezza tutte le preoccupazioni del viaggio, perché alla fine troverà il suo scopo, i suoi, la sua opera. Ho cercato di ritrovare le atmosfere dell’infanzia, tutte indirizzate verso l’imprevedibile, l’universo in cui Francoise è la figlioletta che possediamo con tutta la nostra anima in paradiso (e non ha importanza se il sonno si prolunga un po’ di più, un po’ di meno), l’universo dove dobbiamo vivere, che continua l’eternità e la presenza di Cristo, dove tutte le delusioni del tempo troverebbero immediata consolazione, tutte le sofferenze si trasformerebbero subito in offerta di gioia. Noi tentiamo questo a piccoli passi. Non ci resta che diventare cristiani veramente, se non vogliamo fallire tutto”. Si stava agli inizi della Seconda Guerra mondiale.