Le immagini televisive mostrano il vaccino, stipato nei furgoni frigoriferi, che viene distribuito negli ospedali. È un telegiornale della sera che racconta del piano vaccini e, mentre lo guarda, Luigi prova la stessa sensazione che lo accompagna da mesi: di essere parte degli eventi che accadono, anche se nessun telegiornale può raccontare di lui, che è il responsabile, e di tutti i colleghi della Rete Extranetwork SDA che quei furgoni “speciali” li hanno messi sulla strada. Ha cinquant’anni, una laurea in legge, e da quando lavora si è sempre occupato di trasporti, gli ultimi dieci per SDA, ma l’esperienza vissuta nei mesi scorsi è senza precedenti: mettere al servizio del Paese, in pochi giorni, una linea dedicata a portare in tutta Italia mascherine e guanti e respiratori, i banchi per le scuole e adesso finalmente i vaccini. Un’impresa per certi versi eroica, per come è stata affrontata e vissuta, che, per esempio, il primo giorno di scuola ha recapitato agli studenti di 44.000 istituti 2 milioni di mascherine. E così ogni settimana successiva.
“Stanno arrivando, papà”
Perciò, quando squilla il telefono, Luigi non si meraviglia affatto che sia Sandra a chiamarlo. Il lavoro è entrato nelle loro case e nelle giornate, talora per necessità anche fuori dagli orari tradizionali. Sandra lo chiama per definire ancora altri dettagli relativi al flusso logistico del piano vaccini. E, nonostante l’ora, ha un tono di voce e un’energia intatte: si sente, nella forza che lei mette in ogni parola, che veste con orgoglio la maglia di SDA da 28 anni e che la commessa sui vaccini è la sfida più importante a cui abbia mai lavorato. Si sente che ha raccolto e trattenuto con sé, nel tempo della pandemia, le vibrazioni di gratitudine tornate indietro: dai referenti della Protezione Civile per i dispositivi di protezione o dagli operatori sanitari per i ventilatori polmonari. Dopo la telefonata, Sandra spegne il computer con la stessa sensazione che prova alla fine di ogni giornata così lunga: di aver fatto qualcosa di utile per gli altri. Per tutti quanti e un po’ anche per i genitori anziani, che non abbraccia da troppo tempo. “Gli abbracci”, sospira. “Quanto mi mancano gli abbracci”. Per una specie di telepatia, nella sua casa dalle parti di Asti, anche Luigi pensa al padre, che vive a Napoli e non vede da un anno ormai. Riprende il telefono, stavolta non per lavoro. E, a ottocento chilometri di distanza, il padre Mario gli racconta le cose di sempre con una curiosità in più. “Allora i vaccini stanno arrivando?” chiede al figlio. “Stanno arrivando, papà. Stanno arrivando”.
Tra computer e telefono
Alcune ore più tardi, in un’altra casa nella provincia di Milano, le stesse immagini di quel telegiornale, in replica notturna, mandano bagliori muti sul volto di Gabriele, che la TV la tiene accesa senza volume per compagnia, mentre sta ancora lavorando. Poste italiane si è trasferita, in questa parentesi di smart working forzato, nelle abitazioni dei suoi dipendenti, in modi e orari inconsueti. Ma Gabriele lo sapeva che questa notte l’avrebbe passata tra il computer e il telefono: non è il momento per riposare, come non lo è per tutti i colleghi della “SDA Logistica integrata” che si occupa di installare apparati tecnologici per codificare i vaccini presso le ASL e che prima ancora, in pochi mesi, aveva allestito la rete immensa di magazzini supplementari (22 finora, per 220.000 metri cubi di spazio) per stipare e distribuire le merci della pandemia. Quelle che proteggono, salvano la vita alla gente e che hanno scomposto il senso del tempo e del lavoro, lo hanno disgregato e distribuito negli appartamenti e nelle vite dei dipendenti di Poste che lavorano con lo stesso spirito dei medici e degli infermieri, il senso costante di un dovere civile e qualche attimo di leggerezza quando, dal riquadro di Teams, sbuca nel monitor un figlio piccolo o un cane che all’improvviso chiedono la loro giusta attenzione.
Andrà tutto bene
C’è un’immagine che lo colpisce, mentre Gabriele sbircia sullo schermo televisivo le riprese dei furgoni – i furgoni con la scritta SDA e dentro le celle frigorifere con le fiale di vaccino – che corrono sulla strada scortati dalle macchine della polizia: il primo piano di un driver, la tuta blu col cappuccio, che sorride. Sorride. Ci si riconosce, in quel sorriso, Gabriele. È il sorriso con cui questi uomini e queste donne stanno lavorando senza sosta da quasi un anno. Il sorriso di chi sa che questo non è più soltanto un mestiere e che ogni momento dato al lavoro è diventato, in qualche modo, un momento donato ai propri familiari, ai condòmini, agli abitanti del quartiere, della città, a perfetti sconosciuti così lontani così vicini. Gabriele rimette lo sguardo sul computer, ma poi la porta si schiude: è Simonetta, sua moglie, che in piena notte si affaccia per vedere come va. E non c’è bisogno di dirle che va tutto bene: basta un sorriso. Un sorriso.