Il professor Tiziano Treu è presidente del CNEL dal 2017 e di recente è stato nominato coordinatore del Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri nell’ambito dell’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. A lui abbiamo chiesto un’analisi di scenario della trasformazione del mercato del lavoro, che ha coinvolto anche la nostra Azienda, aprendo nuove opportunità e ponendo Poste Italiane di fronte a nuove sfide.
Un mercato del lavoro dove faticano a inserirsi donne e giovani e una transizione ecologica che deve ancora decollare: Presidente Treu, da dove si comincia?
“Queste sono le criticità in generale. Ma è critico anche il tasso di occupazione, che è assolutamente inadeguato, fermo da anni al 58,5%. L’Europa ha posto un obiettivo molto ambizioso con il PNRR, ossia il 78% di occupazione. Anche il nostro piano pone obiettivi importanti: in quattro anni dovremmo passare dal 58,5 al 63,5, ovvero un milione di posti di lavoro in più. Bisogna innanzitutto prendere sul serio quello che c’è già nel PNRR, dove le priorità sono trasversali e coinvolgono tutte le missioni del Piano, che includono le donne, i giovani e il Meridione. Tutti i lavori che sono finanziati dall’UE, ad esempio, devono garantire almeno il 30% di assunzioni di donne e il 30% giovani. Ci sono indicazioni precise nel Piano e bisogna prenderle con serietà, per far sì che non si tratti solo di investimenti generici, ma di crescita effettiva, con posti di lavoro”.
C’è anche un forte divario tra Nord e Sud e tra città e aree interne, che continua ad aumentare.
“Il Sud ha un forte problema di sviluppo, andranno effettivamente usate le risorse europee per decollare, altrimenti sarà difficile recuperare terreno. Le aree interne sono una questione a lungo trascurata, ma ora c’è più consapevolezza. Come CNEL siamo molto attenti alle aree interne, abbiamo stretto rapporti con molte realtà, da Bolzano al Molise, e con gruppi di lavoro che stanno sviluppando idee per rivitalizzare le aree interne, con comunicazioni e investimenti selezionati”.
Poste Italiane dal 2018 ha varato un programma di impegni proprio verso i Piccoli Comuni, fornendo servizi e mantenendo aperti gli Uffici Postali.
“Devo dire che in queste aree Poste è un avamposto, con una presenza importante. E per rivitalizzare queste aree bisogna avere alcune presenze fondamentali, dal presidio medico alla scuola, fino alla presenza di Poste, che è, appunto, determinante”.
La pandemia ha sottolineato l’importanza di una sinergia reale e fattiva tra pubblico e privato. Nel caso di Poste Italiane, ad esempio, la campagna vaccinale in alcune regioni è decollata dopo l’intervento del Gruppo Poste con la piattaforma di prenotazione. È un esempio scalabile ad altri “campi” del lavoro?
“La sinergia tra pubblico e privato in questa fase è fondamentale. Anche qui è importante che il privato, con un ruolo di azienda Paese come Poste, dia il buon esempio per collaborare con il pubblico. Nonostante i soldi a disposizione con il Piano, il pubblico da solo non ce la farà: ha bisogno di grandi aziende nella crescita, come accaduto per la campagna vaccinale. E quello di Poste Italiane è davvero un buon esempio: è stata fatta un’esperienza sulla piattaforma di prenotazione che di fatto ha segnato lo sprint della campagna stessa. Un esempio virtuoso, da moltiplicare per tutte le grandi aziende che anticipano e sperimentano sistemi e idee nuove, da estendere poi in molti altri campi”.
Quali sono gli ambiti più importanti della sinergia tra pubblico e privato?
“Le politiche attive del lavoro, che non possono essere riservate solo ai centri di pubblico impiego, la formazione e il digitale. Dal punto di vista professionale, ormai c’è una prospettiva di transizione di settori in declino verso i settori in crescita. E le grandi aziende, con la loro visione trasversale, devono integrare il pubblico in questo passaggio epocale. Quindi è la formazione l’ambito nel quale dovremo fare investimenti incredibili: l’Action Plan europeo ci dice che l’80% dei cittadini italiani dovrà avere una formazione digitale di base. Inoltre il 60% dei lavoratori attuali, se non vuole essere superato, va formato ogni anno, in modo continuativo, nelle aziende, con la diretta collaborazione del pubblico”.
Poste ha varato un vasto programma di educazione digitale rivolto alla comunità, oltre naturalmente ai propri dipendenti: anche su questo tema servirà una forte unità di obiettivi tra pubblica amministrazione e grandi imprese?
“La transizione digitale è omnipervasiva. Poste è un pivot dei servizi digitali ed è bene che induca il proprio personale a ‘pensare digitale’ perché a sua volta questa cultura si espande anche nella comunità, soprattutto quando si è il principale datore di lavoro del Paese. Gli investimenti pubblici nella transizione digitale sono tanti, ma non bastano, perché oltre quelli ci deve essere la distribuzione dei nuovi strumenti digitali. E anche qui tornano in gioco le grandi aziende”.
Che impatto ha avuto la trasformazione digitale sulle nozioni di “luogo” e “tempi” di lavoro? Sappiamo che nell’ambito del CNEL ve ne state occupando.
“Ci stiamo occupando di cosa fare con digitalizzazione e lavoro a distanza, il quale cambia due coordinate fondamentali come luogo e tempo. Come metodo è giusto sperimentare, senza affrettarsi a fare una legge, che magari è prematura. Possiamo sperimentare, esistono già molti contratti, soprattutto aziendali, che affrontano il tema. Vedo invece troppi disegni legge, redatti di fretta e troppo presto. Il problema maggiore è garantire la sicurezza anche per chi lavora da remoto. La responsabilità del luogo del lavoratore è comunque dell’azienda, ma su questo vedo ancora poca attenzione. Per quanto riguarda il tempo, abbiamo sperimentato anche noi questa grande opportunità. Il tempo può essere liberato ed è qualcosa di potenzialmente positivo. Con un limite: come ha detto la Corte Europea di Giustizia, bisogna garantire che non si sforino i massimi di orario e non ci sia una tendenza ad un ‘eccesso di lavoro’. Esiste il diritto alla disconnessione ma bisogna sempre verificare che questa libertà di tempo non porti a forme di ‘autosfruttamento’, con lavoratori che totalizzano troppe ore di lavoro nel nome dell’autonomia”.
Parlando di nuove assunzioni, quali segnali stanno dando le grandi aziende italiane in una fase critica del mercato del lavoro?
“Intanto è positivo che non ci siano stati i licenziamenti tanto temuti dopo il blocco per la pandemia. Il lavoro è ripreso ma il problema più grave, in questo momento, è che molti contratti sono a ‘tempo breve’. È questo un esempio di precarietà. È importante il ruolo delle grandi aziende, che a differenza delle piccole possono guardare un po’ più in là come orizzonte temporale. Naturalmente, la prima cosa è che si consolidi la ripresa attuale, come tutti speriamo. Le aziende con le spalle più robuste, come Poste, hanno un ruolo importante e devono dare un segnale nello stabilizzare il più possibile le loro assunzioni”.
Di recente lei ha ricordato che, essendo “la gran parte degli atti di lavoro gestita da macchine e algoritmi”, è necessario trovare sistemi “per garantire il controllo umano”. Le grandi aziende devono dunque rivolgere gli sforzi verso l’integrazione tra rete fisica e rete digitale?
“Queste sono parole condivise con i lavori preparatori della Commissione Europea per la digitalizzazione e l’impatto sul lavoro. L’impatto della trasformazione non è solo, ad esempio, sui rider: le nuove piattaforme presentano una nuova modalità di gestione del personale anche nelle aziende normali e moderne che si stanno attrezzando, per gestire processi di risorse umane in modo digitale. Quello che una volta, magari, era il lavoro di un caporeparto. Il modo di gestire il lavoro deve essere delegato a macchine intelligenti o algoritmi ma va rispettato sempre il principio del controllo umano”.