“Lettera a Dio” di Edith Bruck ci sta benissimo a conclusione del libro “Il pane perduto” che narra in modo singolare, senza odio alcuno, l’esperienza di una ragazza ebrea sopravvissuta ai campi di sterminio di Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen dove si consumò molta parte della Shoà. La Lettera ha colpito perfino papa Francesco che ha voluto conoscere e incontrare personalmente più volte l’autrice.
Le parole per il Signore
Una delicata e profonda amicizia si è consolidata tra loro come racconta un altro piccolo libro della Bruck dal titolo “Sono Francesco”. “Il libro – scrive il papa nella prefazione – è il tentativo di raccontare il nostro incontro che a me ha dato tanta speranza”. Nella Lettera a Dio, l’autrice concentra il detto e il non detto di un’infanzia atroce, un’adolescenza nell’abisso dei campi di sterminio, l’inquietudine dolorosa e lo stupore per la crudeltà patita solo perché ebrea, come le migliaia di ebrei come lei, morti o segnati da incubi del male per tutta la vita. La Lettera non è una requisitoria su Dio, non si pone la domanda dove fosse mentre donne e uomini della Promessa venivano dissacrati, massacrati e calpestati più delle bestie. Di fronte a tanto male Edith quasi al termine della lettera scrive: “La giustizia è una parola che dovrebbe sparire dai dizionari e non andrebbe pronunciata invano, come il Tuo nome. Ma Tu ne hai tanti di nomi e anche dalla mia bocca sfugge qualche volta “Dio mio!”, ma in un sussurro, quando il male è troppo e sono indignata per ciò che è accaduto, accade e accadrà. Tutto si ripete. Tu pure sei l’Unica Infinita Ripetizione, il più grande mistero che esiste, se esiste, questa è la domanda che non avrà mai la risposta, o Ti si crede ciecamente o Ti si dubita lucidamente, o la domanda resta sospesa tra me e me”.
Il pane mai cotto
Porsi domande su Dio l’aveva appreso dalla madre, cremata nei forni di Auschwitz. Nitido il ricordo raccontato nel libro che prende le mosse dal pane preparato per la povera famiglia e mai cotto per l’irrompere all’alba dei nazisti con l’inizio della via crucis della deportazione. “Tutto è colpa dell’uomo”, diceva mia madre. “Dove mette i piedi non cresce più neanche l’erba!”. “Allora l’uomo è più forte di Dio? Le chiedevo. Tutti pagheranno per le proprie azioni” mi rassicurava lei. E come si poteva non credere a una madre?”. Questo l’attacco della Lettera a Dio: “Nella prima lettera che Ti avevo scritto con il pensiero all’età di nove anni, ne sono passati ottanta! E mi sono sentita arrossire sia allora che due notti fa per la stessa idea che non mi ha mai abbandonato. Mi pareva una bestemmia che non ho mai pronunciata, forse spudoratezza o lucida follia…Scrivo a Te che non leggerai mai i miei scarabocchi, non risponderai mai alle mie domande, ai miei pensieri di una vita…a Te ho pensato ogni sera della mia vita. Ti interrogavo su tante cose ma non ho mai udito la Tua voce come Mosè, non mi hai mai degnato di una sola risposta, come non hai degnato mia madre con la sua fede irremovibile in Te…Mi chiedo sempre e non ho ancora la risposta, a che servono le preghiere se non cambiano niente e nessuno…Oh Tu Grande Silenzio, se Tu sapessi delle mie paure, di tutto ma non di Te. Se sono sopravvissuta, avrà un senso. No? Ti prego, per la prima volta Ti chiedo qualcosa: la memoria che è il mio pane quotidiano, per me infedele fedele, non lasciarmi nel buio, ho ancora da illuminare qualche coscienza giovane nelle scuole e nelle aule universitarie dove in veste di testimone racconto la mia esperienza di una vita. Dove le domande più frequenti sono tre: se credo in Te, se perdono il Male e se odio i miei aguzzini. Alla prima domanda arrossisco come se mi chiedessero di denudarmi, alla seconda spiego che un ebreo può perdonare solo per se stesso, ma non sono capace perché penso agli altri annientati che non perdonerebbero me. Solo alla terza ho una risposta certa: pietà sì, verso chiunque, odio mai, per cui sono salva, orfana, libera e per questo Ti ringrazio, nella Bibbia Hashem, nella preghiera Adonai, nel quotidiano Dio”. Non lascia indifferenti una Lettera del genere posta al termine di una memoria sconvolgente di umanità quasi come ricerca affidata a ciascuno per trovare risposte al perché di tanto male.