Lettere nella storia: Enea, amore di mamma con giallo

Si è scritto trattarsi di una lettera d’amore struggente quella con cui una giovane mamma in difficoltà ha abbandonato nella “Culla per la vita” della clinica Mangiagalli il suo bambino Enea. E pareva una lettera destinata a sparire prestissimo dalle cronache. E invece è stato lo spunto per un dibattito sullo stato delle adozioni e sulla maternità. Magia del genere letterario chiamato “Lettera”. Intramontabile e versatile come nessun altro genere. Anche un biglietto può diventare una lettera. Senza busta e francobollo. Come è successo nel caso del bimbo Enea a Milano il giorno di Pasqua. Nella “Culla per la vita” accanto al bambino è stata trovata una lettera piena di affetto scritta dalla mamma: “Ciao mi chiamo Enea. Sono nato in ospedale perché la mia mamma voleva essere sicura che era tutto ok e stare insieme il più possibile. La mamma mi ama ma non può occuparsi di me”.

Il piccolo Enea

In realtà non c’è alcuna certezza che a scriverla sia stata la mamma del bambino rimasta segreta anche ai sanitari che l’hanno preso in cura mezzo minuto dopo l’allarme scattato nella culla, quella che una volta veniva chiamata Ruota dell’abbandono o degli esposti. Un’invenzione caritativa che risale al 1400. “È davvero una strana, tenera e commovente lettera quella che la mamma di Enea ha lasciato nella ‘Culla per la vita’, accanto al suo piccolo. È come se avesse voluto creare un legame con lui” ha commentato Alessandra Kustermann, storica ginecologa della clinica Mangiagalli. I commenti sul caso non sono mancati. Un giornalista di un quotidiano milanese si è spinto sino a scrivere una lettera al piccolo Enea per spiegargli i risvolti esistenziali celati in quella letterina della presunta madre che lo aveva abbandonato. All’ospedale spiegano che Enea è un neonato bianco di circa 2,6 kg, in buona salute. È il terzo bimbo che viene affidato a quella Culla per la vita da quanto è stata attivata nel 2007. Non è la prima volta che una lettera compare in una vicenda del genere.

Neonati abbandonati

“Un mese fa ho ricevuto una lettera in una busta chiusa. Era indirizzata ad un neonato ancora senza nome e senza identità. L’aveva lasciata sua madre quella busta, dopo averlo partorito e affidato all’ospedale. Adesso la busta la custodiremo noi, sigillata nel fascicolo di quel bambino che presto sarà dato in adozione”, racconta Melita Cavallo, presidente del Tribunale per i minori di Roma, in un caso di parto anonimo. Le sue parole evocano un’Italia arcaica e disperata, un mondo che si pensava scomparso di figli abbandonati, di maternità non volute, di bambine-ragazze sconvolte da gravidanze premature, e di neonati “ignoti” consegnati allo Stato come un tempo venivano affidati alle ruote degli esposti. In realtà fare una piena luce sui casi dei neonati abbandonati non è semplice come potrebbe sembrare. C’è da conoscere dati, norme, storia, psicologia. E parlarne con un certo distacco senza cedere a sentimentalismi inutili. Si entra così nel vasto mondo dell’adozione. Sempre difficile, talvolta doloroso che solo lentamente e con molta fatica si è fatta largo per giungere a una normativa stringente e garantista per bambino e genitori adottivi. Tuttora restano parecchie cose da fare. Iniziando dal poter disporre di statistiche meno elastiche possibili per valutare il fenomeno dei neonati abbandonati.

Vittime di arretratezza

La Società Italiana di neonatalogia ritiene allarmante la situazione: circa 1 bambino su 1.000, in Italia, viene abbandonato dopo il parto. Secondo i dati raccolti dai 70 punti nascita che hanno partecipato alla ricostruzione delle statistiche – e perciò si tratta di dati parziali – il 37,5% delle donne che non riconoscono il figlio sono italiane, e nel 48,2% dei casi hanno un’età compresa tra i 18 e 30 anni. La stessa Società osserva che questi numeri “potrebbero essere anche sottostimati, perché non sempre i punti nascita inviano i resoconti completi sulla situazione e la tutela dell’infanzia abbandonata. Questo tema, infatti, torna a far discutere dopo ogni vicenda che appare assurda o estrema come nel caso della neonata lasciata davanti all’ospedale di Monza, in una scatola di scarpe e coperta da un lenzuolo. Ha fatto molto scalpore l’abbandono di un neonato, chiuso in un sacchetto di plastica, e lasciato in una strada sterrata a Paceco, in provincia di Trapani. Tali situazioni, stando alla normativa DPR 396/2000, non dovrebbero mai verificarsi in quanto questa legge permette alle future mamme, siano esse italiane o straniere, di partorire in anonimato e sicurezza presso gli ospedali pubblici. Ma dietro decisioni tanto estreme possono esserci uomini violenti, religioni intolleranti, famiglie che si vergognano di figlie incinte per sbaglio, prostituzione, clandestinità, la paura di essere espulse, violenze sessuali, non avere né terra né patria e nessuna informazione sull’aborto legale. Donne e bambini vittime di arretratezza culturale e sociale.