Roma, 3 giu – Le grandi aziende potranno risolvere consensualmente il rapporto di lavoro con i dipendenti cui mancano 7 anni per la pensione pagando loro una “mini-pensione”, pari all’assegno maturato al momento delle dimissioni, fino a quando non potranno accedere alla pensione Inps. E’ quanto prevede un emendamento al decreto crescita presentato dai relatori Raphael Raduzzi (M5S) e Giulio Centemero (Lega) alle commissioni riunite Bilancio e Finanze della Camera.
La misura, che sostituisce il contratto di solidarietà espansiva, è riservata alle aziende con oltre 1.000 dipendenti che intraprendono un programma di aggiornamento delle competenze tecnologiche e che presentano un programma di nuove assunzioni. In sostanza la norma stabilisce che per gli esuberi che accettano di andare in mobilità volontaria fino a 84 mesi prima della maturazione del diritto alla pensione anticipata o di vecchiaia l’azienda riconosce “un’indennità mensile, liquidabile anche in un’unica soluzione, commisurata al trattamento pensionistico lordo maturato dal lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro”.
L’ammontare dell’indennità sarà calcolato dall’Inps ed erogato dall’azienda (o dai fondi di solidarietà bilaterali) fino al conseguimento dei requisiti per la pensione. Qualora al termine del periodo si acceda alla pensione anticipata, l’azienda dovrà versare anche i contributi necessari al conseguimento del diritto alla pensione con l’esclusione di quelli figurativi già previsti dalla procedura di mobilità.
Per i lavoratori che invece restano in azienda, il nuovo contratto di espansione prevede un taglio medio dell’orario massimo del 30% che però individualmente può arrivare anche al 100% per tutto il periodo del contratto. L’intervento di integrazione salariale può essere richiesto per un periodo non superiore ai 18 mesi anche non continuativi. La norma viene adottata “in via sperimentale” per gli anni 2019 e 2020 e prevede un limite di spesa complessivo di 70 milioni di euro.